B6. La comunità di pratica fucina del sapereClitofonte, nell’omonimo dialogo platonico, sostiene che Socrate è in grado solo di avviare e indirizzare le proprie ricerche, ma non di concluderle, accusandolo di essere maestro nell’arte di esortare alla virtù, ma incapace di darne una definizione univoca, lasciando se stesso e i propri interlocutori spesso alle prese con idee diverse e contrastanti. Qui non si vuol discutere se la critica sia sensata o
meno,[1] ma si intende sottolineare invece il fatto, in apparenza paradossale, che una tale situazione di presunta inconcludenza può benissimo palesarsi alla fine di una sessione pratica filosofica. L’apparente paradosso dell’affermazione svanisce nel momento in cui, come si diceva in precedenza seguendo Justus Buchler, ci si renda conto di confondere il risultato di una discussione con l’esito raggiunto, facendo coincidere il suo prodotto solo ed esclusivamente con la conclusione che ci si aspetta da
essa.[2] In realtà un prodotto c’è sempre, ma il raggiungimento della conclusione non è poi così certo. Spesso, più che aspettarsi risposte esaustive, definitive, conviene attendersi la modificazione di atteggiamenti, cambiamenti intellettuali o una qualche sensazione di migliore comprensione. Il motivo di ciò risiede tanto nell’evento in sé della ‘ricerca collettiva’, di natura aperta, si è detto, quanto nelle modalità del venire in essere del dialogo filosofico, che spesso per muovere un passo in avanti, verso qualche conclusione, deve farne dapprima qualcuno indietro, soffermandosi sulle premesse (soprattutto radicalizzando il domandare).
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Note [1] Proprio per il tipo di critica rivolto a Socrate, l’autenticità del dialogo è stata spesso messa in discussione. Sembra per lo meno improbabile infatti che Platone potesse denigrare così tanto l’efficacia dell’opera del maestro, o far muovere contro di lui strumentalmente accuse dubbie o infondate. [2] Cfr. J. Buchler, What is a discussion?, in «Journal of General Education», 7, 1 (1954), pp. 7-17. [3] Cfr. L. Nelson, Socratic Method and Critical Philosophy, Dover, New York 1965. [4] Nelson segue con ciò le idee di Jakob Friedrich Fries (1773-1843) e della sua scuola neokantiana. La nozione di «conoscenza immediata non-intuitiva», secondo Nelson e il criticismo friesiano, indica quel tipo di conoscenza che concerne l’oggetto della metafisica e dell’etica, cioè i loro principi di base e i sistemi che ne derivano. Fries e Nelson accettano la distinzione kantiana fra un’intuizione sensibile, di natura passiva e ricettiva, che, mediante l’apprensione immediata degli oggetti reali, è alla base della formazione dei concetti (I. Kant, Critica della ragion pura, Estetica trascendentale, Sez. I, §1), e un’intuizione intellettuale, che opera senza la mediazione dei sensi e non è affatto passiva di fronte ai suoi oggetti poiché è essa stessa che li crea (ivi, Sez. II, §8). Essi negano però che il binomio della intuizione sensibile e intellettuale sia isomorfo a quello della conoscenza immediata e mediata, rivendicando un terzo tipo di conoscenza allo scopo di giustificare una metafisica accessibile mediante sia i sensi che la ragione. (Cfr. L. Nelson, "Prejudice of logical dogmatism", in id., Socratic Method and Critical Philosophy, cit., pp. 141-153.)
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Pratiche filosofiche,
Vers. 2.0 © July
2005 |