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visione del mondo modus vivendi concretezza con-filosofare argomentazione esercizio

B5. Filosofia come pratica ermeneutico-argomentativa e pariteticità dei partecipanti

Il con-filosofare inteso come percorso intellettuale di natura auto-correttiva è fondamentalmente una pratica ermeneutica e argomentativa, poiché è ragionamento a più voci basato appunto sullo scambio, l’interpretazione, la critica, la riflessione, la giustificazione, ecc., e più in generale sulla razionalizzazione condivisa e la ragionevolezza. In esso può essere rintracciato ciò che Derrida e poi Vattimo hanno indicato agli inizi degli anni ‘90 come il ‘diritto all’argomentazione’, che è in realtà lo stesso diritto alla filosofia. «Coloro che si raccolgono nel nome e sotto il titolo della filosofia – ha scritto Derrida – devono ambire a essere in ogni istante giustificati e a rimettere in discussione non solo ogni sapere determinato, ma anche il valore stesso del sapere e ciascun presupposto racchiuso sotto il nome di filosofia».[1] Una comunità di pratica filosofica, là dove attività come interrogare, indagare e chiedere spiegazioni sono altrettanto imprescindibili di riflettere o meditare,[2] è di certo il luogo privilegiato nel quale le domande sui ‘perché’ possano ricevere risposte motivate, dovendo ciascun partecipante fornire le proprie ragioni piuttosto che la parola dell’autorità. Il con-filosofare, in quanto attività argomentativa, tende quindi a de-gerarchizzare i rapporti fra i suoi interlocutori, o almeno mina alla base ogni asimmetria possibile, fintantoché il dialogo permane in una dimensione fondamentalmente storico-sociale, situazionata e del tutto autonoma nel suo percorso di co-costruzione di sapere. «L’esercizio della filosofia come argomentazione – ha osservato Gianni Vattimo – richiede non solo la decostruzione di ogni ordine piramidale prestabilito ma anche, inscindibilmente, la proposta di un ordine alternativo».[3]
Le pratiche filosofiche tendono essenzialmente ad annullare la distinzione tra produttore e fruitore nella prassi filosofica. Anzi, probabilmente si può dire che il con-filosofare in esse è tanto più autentico quanto più tale dualismo venga a dissolversi, nel corso del tempo, e con esso eventuali altre asimmetrie di sorta (sapiente-insipiente, esperto-inesperto, docente-discente, medico-paziente). Con una terminologia che, in altra sede, mi sono permesso di mutuare dalla recente riflessione anglo-americana in materia di logica induttiva applicata,[4] ho ritenuto quindi opportuno definire gli interlocutori di una sessione pratica filosofica come reasoners, cioè dei ‘ragionatori’, o, meglio, dei ‘ragionatori creativi’.[5] L’alternativa possibile a ragionatori è ovviamente quella di ‘pensatori’ (corrispondente all’inglese thinkers), ma risulta meno calzante, dal mio punto di vista, per almeno due motivi. In primo luogo, il termine ‘pensatore’ è probabilmente più impegnativo rispetto a quello di ‘ragionatore’ (pensatori sono definiti solitamente i filosofi di professione), pur ammettendo che l’uno non sia meno generale dell’altro (pensatori, ad esempio, sono detti sia filosofi occidentali che santoni e saggi di religioni o tradizioni di pensiero orientali). In secondo luogo, ‘pensatore’ può essere anche qualcuno che medita in perfetta solitudine, e questo di certo non esprime la dimensione sociale, comunitaria della riflessione in una sessione pratica filosofica. Il latino ratio, cioè ‘ragione, conto, calcolo’, giustifica espressioni come ‘usare la ragione’ o ‘muoversi con raziocinio’, le quali sembrano confermare l’idea appunto di pensare, ponderare. Ma nell’arcaico uso transitivo del verbo ‘ragionare’, ormai perso, si intravede invece una fondamentale differenza rispetto a tutto ciò, che è poi il motivo per cui questo verbo può anche essere adoperato come sinonimo di discutere, conversare e simili (ad esempio «stanno ragionando di cose importanti»). Scrive Dante nella Divina Commedia: «Poscia che m’ebbe ragionato questo»; e Carducci nelle sue Odi: «Il parer mio ti ragionerei se fossi presente a te». Seguendo questa traccia semantica, diviene pressoché impossibile adoperare in maniera intercambiabile ragionare e pensare.

 

Note

[1] J. Derrida, Du droit à la philosophie, Galilée, Paris 1990, p. 33.

[2] Nelle parole di Vattimo questo è proprio il «senso del domandare radicale [...] mai assopito, che cerca la legittimità di ogni pretesa, il perché di ogni affermazione, le conseguenze teoretiche e pratiche di ogni posizione» (G. Vattimo, Diritto all’argomentazione, in id. (a cura di), Filosofia ‘92, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 61).

[3] Ivi, p. 66.

[4] Cfr. ad esempio I. Pratt, Artificial Intelligence, The MacMillan Press, London 1994.

[5] A. Volpone, "Crisi della razionalità e ritorno alla pratica filosofica", relazione al 1° Seminario dell'Associazione Italiana Counseling Filosofico (AICF), Castello di Caselette, Torino, 30/04-01/05/2000; pre-print settembre 2000: http://utenti.lycos.it/alessandrovolpone/relCaselette/relazione.htm (in versione italiana); http://utenti.lycos.it/alessandrovolpone/relCaselette/Crisis_of_Rationality.htm (in versione inglese); su cartaceo, il testo integrale della relazione ora è contenuto in: id., Oltre le pratiche filosofiche, in «Pratiche Filosofiche/ Philosophy Practice», 3, 2004, pp. 1-40; pp. 18-23 (in italiano) e pp. 32-37 (in inglese).

 

 

Pratiche filosofiche, Vers. 2.0  © July 2005
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