SEZIONE IN ALLESTIMENTO .

D1.1.1 Socratische gësprach/ Socratic dialogue/ Dialogo socratico
D1.1.2 Socratische gespreksvoering/ Socratically inspired dialogue/ Dialogo socraticamente ispirato
D1.1.3 Philosophy for children (P4C), Kinderphilosophie
D1.1.4 Philosophy with children (PwC)
D1.1.5 Moral development & education
D1.1.6 Cafè philò / Caffè filosofico
D1.1.7 Incontri, week-end, vacanze-studio e soggiorni all'insegna della filosofia
D1.1.8 Philosophy in business (o Business philosophy) – Philosophische organisations-beratung – Philosophy in the workplace (o Socratic dialogue in the workplace) – Philosophy management/ Filosofia per le organizzazioni e l'azienda
D1.1.9 Philosophische Praxis (Lebensberatung)/ Philosophical counseling/ Consultation philosophique/ Consultoría filosófica/ Consulenza filosofica
D1.1.10 Clinical philosophy
D1.1.11 Philosophical midwifery
D1.1.12 Filosofoterapia, psicofilosofia, counseling e relazioni d'aiuto presuntamente "filosofiche"
D1.1.13 Filosofia biografica o Mitobiografia filosofica
D1.1.14 Altro...

D1.1  Excursus storico-descrittivo

La presente pagina offre una panoramica – certamente parziale – delle diverse tradizioni d'uso che oggigiorno è possibile riscontrare in materia di pratiche filosofiche.

Quasi tutte le attività elencate rivisitano in qualche modo la concezione attuale della filosofia (e del filosofare), se non a livello di statuto disciplinare, almeno nel senso della sua fruizione e rappresentazione sociale, in una prospettiva eminentemente funzionale e strumentale.
Il rapporto tra le pratiche in questione e l’esercizio filosofico tradizionalmente inteso resta tuttora da chiarire, così come è difficile valutare la rilevanza del loro ruolo, per alcune solo incipiente, all’interno della società. Nell’uno o nell’altro caso occorre comunque ricordare che esse, pur condividendo un livello fondativo-epistemologico comune, vanno certamente distinte a livello pratico-operativo e considerate isolatamente, nei rispettivi ambiti di azione, quanto a bilanci e prospettive per il futuro. Ciascuna pratica possiede una storia differente rispetto alle altre e caratteristiche del tutto peculiari.

 

D1.1.1  Socratische gësprach/ Socratic dialogue/ Dialogo socratico

Il metodo del dialogo socratico è stato ideato dal tedesco Leonard Nelson (1882-1927) ed elaborato dagli esponenti della sua scuola (Gustav Heckmann, Minna Specht, ecc.) in Germania, Olanda e Inghilterra.[1] Una discussione socratica consiste nella ricerca comune di una soddisfacente risposta a interrogativi e problemi portati dai partecipanti alla discussione, sufficientemente interessanti da poter essere assunti a oggetto di indagine da parte del gruppo. Per evitare di muoversi su livelli puramente astratti, è consigliabile che le sessioni di lavoro partano da un esempio concreto, legato al mondo dell’esperienza vissuta e sufficientemente interessante per tutti.
Nella discussione socratica si fa uso di argomentazioni, scambi di idee, richieste di spiegazione per quello che si è detto, analisi di concetti, ecc. Il ricorso a informazioni empiriche o scientifiche, pertinenti a discipline filosofiche come logica, teoria della conoscenza, filosofia della mente, etica, filosofia sociale e politica, estetica, ecc. non è affatto necessario, o solo indirettamente. Qualora vengano citate opinioni di autorità, chi che le cita dovrebbe pienamente condividere quanto affermato ed essere pronto a spiegare e a difendere la posizione sostenuta. Il facilitatore ha un ruolo meramente procedurale e non interferisce con il processo dialogico che si va svolgendo. La sua conduzione può essere messa in discussione mediante la richiesta del cosiddetto "meta-dialogo", gestito da una persona diversa dal facilitatore;[2] in un senso analogo si può discutere di questioni e decisioni procedurali all’interno del gruppo.[3] Risultato principale della discussione socratica è l’approfondimento dell’argomento prescelto e la condivisione del processo, ma grossa importanza riveste pure il lavoro comune dei partecipanti. Il tutto riesce meglio se c’è l’intenzione di scoprire insieme, seguendo attentamente il filo del discorso, senza volontà di emergere sugli altri ed evitando di spostare il fronte della discussione su argomenti non pertinenti, facendo inceppare l’interazione dialogica e la chiarificazione concettuale.

[ Approfondimento Dialogo socratico: cfr. MARGINALIA theorica, E1.3.2 (c1) ]


D1.1.2
  Socratische gespreksvoering/ Socratically inspired dialogue/ Dialogo socraticamente ispirato

Di origine olandese, diffuso anche in altri Paesi del nord Europa, il dialogo di ispirazione socratica rappresenta una varietà di dialogo socratico con regole meno rigide di quello tradizionalmente inteso. Soprattutto, esso non richiede che l’argomento di discussione venga del tutto sviscerato, come previsto secondo le indicazioni procedurali della scuola di Nelson-Heckmann. Ciò comporta un investimento minore in tempo ed energie; e mentre una sessione di dialogo socratico può andare avanti per giorni, finché non si giunga a qualche conclusione o finché un argomento non venga del tutto sviscerato, per un dialogo socraticamente ispirato può bastare qualche ora.

D1.1.3  Philosophy for children (P4C), Kinderphilosophie

Il progetto pedagogico e filosofico che va sotto il nome di Philosophy for children (nei Paesi di lingua tedesca meglio noto come Kinderphilosophie) nasce negli anni Settanta in USA ad opera di Matthew C. Lipman del Montclair State College (New Jersey) e collaboratori, tra cui sono da ricordare Ann M. Sharp e Frederick S. Oscanyan. Il curricolo comprende materiale strutturato composto di otto racconti in forma dialogica, affiancati da altrettante guide per gli insegnanti, strutturati in base all’età di riferimento e destinati a ragazzi dai cinque ai quindici anni.[4] Le storie propongono situazioni problematiche emergenti dall’esperienza di tutti i giorni, che i protagonisti (bambini, adolescenti, adulti, animali) tentano di interpretare attraverso la riflessione e la discussione in comune, raggiungendo questioni di natura filosofica a partire dall’episodio circostanziato.RaccontiP4C.gif (14790 byte) Prerogative del programma sono la lettura collettiva dei racconti (grossa importanza riveste appunto l’aspetto narrativo) e il confronto che ne consegue, entrambi realizzati in una "comunità di ricerca" che, attraverso un dialogo autocorrettivo, paritario e orientato da interessi condivisi, intraprende un percorso di costruzione sociale di conoscenza. Il dialogo, così come scaturisce nella comunità di ricerca, assomma, pertanto, ad un’indubbia valenza democratica la possibilità di sviluppare competenze cognitive complesse, per mezzo della negoziazione continua e mai definitiva di significati, prospettive e visioni del mondo.
La Philosophy for children non si prefigge l’insegnamento disciplinare della filosofia, ma pone come suo obiettivo dichiarato l’apprendere a filosofare quale metodologia per lo sviluppo di abilità di ragionamento (micro- e macro-logiche) concernenti, in particolare, la dimensione metacognitiva e le competenze metalinguistiche. In questo senso il curricolo rappresenta a pieno titolo un modello didattico di educazione al pensiero, ma nello stesso tempo, per le sue caratteristiche, è in grado di agire anche sulle abilità emotive, affettive e sociali in genere, ponendosi a pieno diritto come strumento di educazione civile e morale.

D1.1.4  Philosophy with children (PwC)

In alcuni Paesi del nord Europa si parla da qualche tempo di questa varietà di filosofare con bambini e adolescenti. Dietro al cambiamento di preposizione si cela l’idea che la denominazione Philosophy for children possa far pensare a una sorta di riduzione o semplificazione della filosofia appunto "per" bambini e adolescenti; mentre la preposizione "con" non dovrebbe dare adito al fraintendimento e, d’altronde, serve a meglio enfatizzare il ruolo com-partecipativo in senso pieno della componente non adulta ai lavori della comunità. A parte la questione linguistica, da segnalare sono alcune variazioni procedurali nella pratica. Di centrale importanza resta lo strumento della "comunità di ricerca" di Lipman, ma alcune cose cambiano. Ad esempio, l’incipit del dialogo può non essere materiale strutturato, ma qualunque altra cosa, meglio se breve e comunque densa di spunti di riflessione.[5] Agenda, piano di discussione e altri strumenti procedurali divengono meno "rigidi" nella loro realizzazione, procedendo il lavoro soprattutto per dissenso e consenso, nella direzione del dialogo, o anche mediante regole stabilite dalla comunità e non predeterminate dal metodo.[6]

D1.1.5  Moral development & education

Lo sviluppo del giudizio e della condotta morale sono stati oggetto di molteplici approfondimenti in psicologia. Alcuni hanno posto l’accento sui fattori esteriori, di natura socio-culturale e situazionati, inducenti l’assunzione di norme etiche e di condotte moralmente accettabili. Altri hanno rivolto l’attenzione soprattutto alle componenti intrinseche dello sviluppo individuale, sottolineando la stretta connessione fra le tappe della maturazione mentale e le fasi della crescita morale. Lawrence Kohlberg (1927-1987), psicologo americano, pur riconoscendo l’importanza dei fattori "estrinseci", ritiene che lo sviluppo morale, come quello cognitivo (strettamente correlati), manifestino in ogni individuo componenti "intrinseche", con uno specifico ritmo evolutivo ontogenetico (come per Piaget) che percorre una sequenza di passaggi obbligati. A parere di Kohlberg la coscienza e il giudizio morali sono frutto di un processo di maturazione, con stadi e fasi di sviluppo che vanno dalla pressoché totale dipendenza eteronoma di principi e regole di comportamento, passano per l’interiorizzazione e giungono all’autonomia di giudizio e alla gestione consapevole.
Kohlberg ha lavorato su più fronti, affiancando alla ricerca psicologica considerazioni filosofiche, e svolgendo un’intensa attività educativa negli Stati Uniti. L’approccio cognitivo-evolutivo allo studio del giudizio morale lo ha condotto, nella pratica didattica, all’idea di trasformare la classe in una "comunità di giustizia" (community of justice, o just community), che costantemente si occupi della discussione di interrogativi etici e politici (nel senso della convivenza civile), comprenda la necessità delle norme e progetti organizzazioni democratiche per la propria vita scolastica. Il processo prevede soprattutto la discussione di dilemmi morali e situazioni conflittuali, che, quando opportuno, possano divenire anche l’occasione per esaminare insieme i sistemi etici della tradizione filosofica (come nelle discussioni di etica applicata).
[A titolo esemplificativo, si riporta la traduzione di un dilemma di Kohlberg.]
In realtà la just community è qualcosa di più di un semplice gruppo di discussione su dilemmi morali. A parere di Kohlberg, infatti, l’educazione morale è incompleta o inefficace se resta astratta, cioè limitata alla sola riflessione, individuale o comunitaria che sia. Cosicché, al fine di fornire un contesto reale in cui agire e crescere moralmente, l’idea è quella di scuole in cui gli studenti possano partecipare attivamente alla dimensione organizzativa scolastica, alle attività decisionali e di gestione. Istituzione centrale di queste scuole dovrebbe essere il community meeting ("incontro di comunità"), in cui si discutano questioni relative alla vita e alla disciplina scolastica e vengano prese democraticamente decisioni, attribuendo uguale valore al parere di studenti, insegnanti e altri attori del processo educativo-formativo.
La natura dell’educazione morale per Kohlberg è trasversale ai contenuti essenziali della cultura in generale, scientifici o umanistico-filosofici, e il bisogno di apprendimento-insegnamento, sviluppo ed elaborazione di principi di moralità e giustizia nella scuola contemporanea può essere benissimo paragonato a quello di un qualunque altro insegnamento obbligatorio.

[ Approfondimento Moral education: cfr. MARGINALIA theorica, E1.3.2 (b1) ]


D1.1.6  Café philò/ Philosophical café - coffee bar, pub, club/ Caffè filosofico

Il caffè filosofico è fondamentalmente un dibattito pubblico organizzato, disciplinato da poche e semplici regole (fare interventi argomentati, rispettare la turnazione della parola o le opinioni altrui, seguire il fronte d'avanzamento del discorso, ecc.). La comunità dialogante intraprende percorsi di ricerca collettiva su argomenti stabiliti in anticipo o che emergono dalla comunità stessa, cercando di produrre momenti "filosofici", che oltrepassino cioè il livello della semplice opinione per giungere ad un pensiero più autentico.
È stato Marc Sautet ad inaugurare questa tradizione d'uso, nel 1992, presso il Café des Phares di Parigi. Il caffè filosofico è un'attività pratico-filosofica radicata in una situazione concreta, socialmente condivisa, esperibile da ognuno, nella quale lo scambio di idee avviene secondo procedure che ne garantiscono la democraticità. Ogni partecipante, seguendo comunque il fronte d’avanzamento della discussione, può infatti prendere la parola e i membri del caffè sono tenuti ad ascoltare senza interrompere colui che parla. È prevista la presenza di un moderatore che avvii la discussione, eserciti un ruolo maieutico all’interno della comunità di ricerca e, nello stesso tempo, lavori affinché i partecipanti non si limitino alla mera conversazione. Il caffè filosofico infatti – secondo i suoi sostenitori – esige l’attivazione di un’interazione dialogica profonda, impostata sulla base di specifiche esigenze argomentative e sostenuta dalla disponibilità all’ascolto produttivo. Il moderatore, pertanto, non riveste la funzione di esperto in filosofia o di maestro, ma piuttosto quella di un primus inter pares che facilita il cammino della comunità di pratica.[7]

[ Approfondimento Café philò: cfr. MARGINALIA theorica, E1.3.2 (d) ]


D1.1.7  Incontri, week-end, vacanze-studio e soggiorni all'insegna della filosofia

Le occasioni per praticare il filosofare comunitario – o esercitarsi nella riflessione in genere – sono molteplici; alcune anche molto originali. Marc Sautet, ad esempio, nel libro Socrate al caffè,[8] racconta di un "viaggio filosofico" ad Atene da lui organizzato, con quattro clienti del suo studio filosofico, con lo scopo di intendere meglio il Fedone di Socrate. L'idea era quella di entrare direttamente in contatto «con il contesto storico, con la vita, la figura, le abitudini [...] dell'autore, [passeggiando] nei luoghi dove egli ha vissuto, visitando gli edifici dell'epoca»; forse, «si vedrà pian piano diminuire quella distanza che sembrava insormontabile» nella comprensione del testo.[9] Analogamente, Sautet progettava anche un viaggio a Könisberg, sulle rive del Baltico, alla scoperta dei luoghi in cui Kant passò la propria vita.
Frequenti in tutto il mondo sono incontri seminariali, giornate fuori porta o intere settimane dedicate alla filosofia, ponendo la cosa sotto forma di vacanza-studio, interessante e stimolante, o quanto meno alternativa. Anche in Italia vi sono iniziative del genere, organizzate in diversi periodi dell'anno.[10].
Verso la fine degli anni Ottanta, è stato inaugurato ad Amsterdam l'Hotel de Filosoof, a tre stelle. Esso rappresenta un esempio più unico che raro di struttura d'accoglienza per il turismo filosofico. Possiede 25 stanze tematiche arredate con philosophical motifs in cui poter soggiornare; una biblioteca ed eventi periodici letterari e artistici fanno da cornice al tutto.
Lo spirito con cui tali iniziative sono intraprese è fondamentalmente analogo a quello del Café philò, a metà strada fra l'interesse da coltivare nel tempo libero e la realizzazione personale. È tuttavia da segnalare un uso strumentale fattone da consulenti filosofici che ritengono con ciò di animare in modo originale le proprie sedute, o di rendere meglio nota la propria attività.[11]

D1.1.8  Philosophy in business (o Business philosophy) – Philosophische organisations-beratungPhilosophy in the workplace (o Socratic dialogue in the workplace) – Philosophy management - Filosofia per le organizzazioni e l'azienda

In contesti professionali, le discussioni filosofiche di gruppo, moderate da facilitatori professionisti o anche auto-gestite (nei gruppi di livello avanzato), possono essere adoperate per discutere di identità, obiettivi, strategie e quant’altro possa interessare un’azienda, un’istituzione, o una qualunque organizzazione a livello pubblico o privato. Per il praticante filosofo, si tratta essenzialmente di una consulenza e la filosofia diviene strumento di riflessione sulle modalità per attribuire significato e valore al singolo, all’organizzazione di appartenenza, al mondo esterno e alle loro rispettive relazioni, rendendo esplicite le prospettive già in uso nella particolare situazione in esame o contribuendo a crearne di nuove.
La pratica filosofica applicata al mondo dell’economia e delle aziende rappresenta allo stato attuale una realtà estremamente variegata, sia per le sue molteplici origini che per le modalità attuative.
Negli anni ‘70, l’americano Peter Koestenbaum, all’epoca professore di filosofia presso il San Jose State College, in California, ha coniato il termine Philosophy in business (PiB; o Business philosophy) per indicare la propria prestazione di consulenza in ambito aziendale, basata su assunti simili alla Clinical philosophy, di cui ugualmente è stato iniziatore, e consistente in attività di business consultancy, strategic thinking e philosophy of leadership. In quegli stessi anni, la pratica sorgeva anche in Germania, dove è meglio nota come Philosophische Organisationsberatung (consulenza filosofica alle organizzazioni), ispirata a principi diversi, cioè quelli della Philosophische praxis di Achenbach, sulla base della convinzione che, se le imprese hanno una "filosofia", allora sono proprio i filosofi che possono aiutarle nelle loro principali difficoltà.[12] La Philosophy in the workplace (o Socratic dialogue in the workplace) è un’invenzione olandese, più recente. Diffusa in Olanda, appunto, e in altri Paesi del nord Europa, tra cui l’Inghilterra, tratta fondamentalmente di dialogo socratico, o socraticamente ispirato, oppure s'ispira alla consulenza alla Achenbach, il tutto comunque applicato a questioni di natura economico-aziendale.[13] Simili attività sono alquanto diffuse un po’ dappertutto attualmente, soprattutto in USA, dove la pratica è nota anche con la denominazione di Philosophy management.[14] E la situazione diviene ancor più complessa se si pensa che nel medesimo ambito operativo, inoltre, ricadono pure nozioni, riflessioni e attività provenienti da tutt’altra parte, cioè dalla filosofia e dall’etica del lavoro o dalla bioetica applicata.

D1.1.9  Philosophische Praxis (Lebensberatung)/ Philosophical counseling/ Consultation philosophique/ Consultoría filosófica/ Consulenza filosofica

La consulenza filosofica nasce in Germania come Philosophische Praxis nel 1981, anno in cui il tedesco Gerd Böttcher Achenbach aprì uno studio di consulenza filosofica a Bergisch-Gladbach, presso Colonia. Nel 1982 egli fondò l’associazione tedesca di pratica filosofica Deutsche Gesellschaft für Philosophische Praxis (trasformata nel 1992 nella International Society for Philosophical Practice). In breve tempo la pratica si estese in Olanda, Austria, Inghilterra, in altre nazioni europee e in Israele; negli anni Novanta è approdata in USA e Canada. Attualmente, associazioni e centri di vario genere sorgono un po’ in tutto il mondo, e conferenze internazionali sono organizzate con cadenza regolare. In generale, adoperando un’utile distinzione fatta dagli olandesi Peter van der Geer e Rik Peters, è opportuno forse parlare di una tradizione europea continentale della pratica, maggiormente orientata verso la filosofia, e una anglo-americana, più vicina alle psicoterapie.[15] Caratteristica fondamentale del counseling filosofico è quella di fornire, su richiesta, un tempo e uno spazio specifico per la riflessione nell’ambito di processi intellettuali, decisionali, relazionali o esistenziali in senso ampio.[16] Da un punto di vista operativo, si dirà che l’attività del consulente filosofico consiste di conversazioni, discussioni filosofiche autonome, non necessariamente individuali, su qualunque problema o argomento di cui desideri parlare il consultante. Soprattutto nel rapporto uno-a-uno, si tratta di stimolare, incoraggiare l’ospite a esplorare, insieme, le proprie opinioni a un livello più profondo, a vedere più chiaramente le conseguenze delle sue convinzioni, a meglio riconoscere i pre-giudizi personali per ciò che essi sono o a considerare i potenziali vantaggi di altri punti di vista. Pare non vi siano risposte preconfezionate alle questioni che l’esistenza e la co-esistenza continuamente ci pongono, e i consulenti filosofici, in genere, anziché pretendere di porre fine alla ricerca intrapresa dal consultante, preferiscono riferirsi alla loro attività in termini di "orientamento", "guida", "accompagnamento" e simili.[17]

[ Approfondimenti Consulenza filosofica: cfr. Orientamento, D2.4.2 (a), D2.4.2 (c) ]


D1.1.10  Clinical philosophy

Padre della Clinical philosophy è Peter Koestenbaum, già menzionato in precedenza, che definisce l’attività come un tentativo di coniugare la filosofia (su base fenomenologica ed esistenzialista) con psicologia e psicoterapia.[18] Il suo esempio è stato seguito da altri filosofi in USA, Europa e non solo (anche in Giappone, ad es., esiste un centro di Clinical philosophy).
In realtà, difficilmente l'attività in questione può essere definita una "pratica filosofica", ma il fatto è che i suoi cultori generalmente lo fanno; e la medesima osservazione vale per casi analoghi, come la maieutica filosofica, la psicofilosofia o altri tipi di counseling che di "filosofico" probabilmente possiedono soltanto il nome (cfr. prossimi due paragrafi).
La filosofia clinica si muove fra concezioni e setting di natura psicoterapeutica, nell’approccio al consultante.[19] Oltre a una buona conoscenza della filosofia, al filosofo clinico si richiedono anche solide competenze in psicologia e psichiatria, esperienze di pratica clinica, oppure di counseling, relazione d'aiuto, ecc. La sua occupazione ha chiare finalità "terapeutiche", con dinamiche e processi inscritti nel paradigma medico tradizionale malattia-diagnosi-cura. Christopher McCullough, psicologo e counselor filosofico californiano, adopera appunto la denominazione Clinical philosophy per descrivere l’attività di consulenti o practitioner formati sia in psicologia che in filosofia e Philosophical counseling per l’attività di coloro che lavorano solo con la filosofia.[20]

[ Cfr. anche Orientamento D2.4.2 (c) ]

D1.1.11  Philosophical midwifery

La denominazione di "maieutica filosofica" è adoperata dallo statunitense Pierre Grimes per riferirsi alla propria concezione della consulenza filosofica, in apparenza simile alla Philosophische praxis o al Philosophical counseling, ma diversa sia da un punto di vista teorico che procedurale. Grimes ha lavorato alla messa a punto della sua attività sin dal 1978, adoperando la filosofia socratica e platonica per aiutare la gente a liberarsi di ciò che egli considera come credenza sbagliata o falsa, chiamata "pathologos", responsabile di stati dis-funzionali in individui non affetti da "patologie" nel senso della psichiatria e della psicologia correnti, ma (presumibilmente) "sani". La "sanità" psicologica del cliente risulta importante, nella prospettiva di Grimes, soprattutto per il ruolo attivo che questi deve svolgere sia nell’individuare la propria impasse in materia di sistemi di credenze, valori, concetti, ecc. e sia nell’escogitare strategie di risoluzione, ragionandoci. Tra gli assunti di base troviamo l’idea che problemi nella dimensione razionale dell’esistenza individuale possano provocare anche situazioni di disagio emotivo (assunto questo certamente non estraneo pure alla consulenza filosofica di ispirazione achenbachiana e, soprattutto, ruschmaniana o lahaviana), e può essere dunque opportuno (cominciare a) rimuovere il disagio emotivo agendo a monte, cioè a livello razionale. Il consulente è chiamato "maieuta" e il consultante "persona feconda" (pregnant person). A parere di Grimes e collaboratori (tra cui Uliana Regina e Barbara Stecker, dell’Academy for Philosophical Midwifery, in California), la pratica del dialogo filosofico di stampo socratico-platonico, con un facilitatore esperto in filosofia, è ambiente idoneo e terreno fertile per riflessioni a tutto campo su aspetti problematici nell’esistenza del consultante, secondo un’interazione dialettica in cui gli slanci filosofici e la libertà di pensiero vengano in qualche senso a integrarsi.

[ Cfr. anche Orientamento D2.4.2 (c) ]

D1.1.12  Filosofoterapia, psicofilosofia, counseling e relazioni d'aiuto presuntamente "filosofiche"

È ben nota la tendenza da parte di alcune varietà odierne di analisi psicologica e di psicoterapia di considerare l'indagine filosofica come parte integrante del proprio percorso teorico e pratico. Altrettanto, ad alcuni è sembrato del tutto lecito far compiere alla filosofia il percorso inverso, spesso nella convinzione che a "curare" i mali della mente, nell'Antichità, fossero i filosofi, magari indirettamente, prima di passare il testimone a preti e padri spirituali, per lungo tempo, oppure, più di recente, a psicologi e psicoterapeuti.[21] L'idea è condivisa ed espressa da consulenti filosofici di tradizione sia europea (più filosofeggianti) che d'oltre oceano (più psicologizzanti), per adoperare la distinzione di Geer e Peters prima menzionata (§ D1.1.09), con la sola differenza che in un caso la filosofia rivendica (soltanto) un proprio spazio d'azione ingiustamente occupato da psicologia e psicoterapia, nell'altro tutto quanto finisce per confondersi, diventando un tutt'uno integrato. (In proposito, cfr. in questo sito anche la pagina: L'orizzonte variegato della consulenza filosofica: una discussione generale della pratica.) In altre parole, da un lato si trova una critica (velata o diretta) allo "strapotere" dello psicologismo nell'analisi e nella cura dei mali intellettuali umani (esistenziali, politici, etici, spirituali, ecc.), che sfocia in una dimensione alternativa indicata come "terapia per sani" e simili; dall'altra si cerca invece di rinsaldare quei legami tra psicologia e filosofia che furono un tempo intravisti dall'esistenzialismo e dalle filosofie dell'esistenza in genere, oppure si tenta di "competere" con le psicoterapie umanistiche e le relazioni d'aiuto di varia fatta, oggi tanto diffuse, ponendo tra i propri obiettivi, ad esempio, la creazione di «veri e propri "ambulatori" dove poter mettere a disposizione del benessere psico-fisico dell’uomo tutto il sapere filosofico».[22] Quest'ultimo diviene dunque serbatoio o tutt'al più fucina di «metodologie e stratagemmi [...] da utilizzare sia per la risoluzione dei problemi dell’essere umano quali l’ansia, le paure, le fobie e la depressione, sia per il raggiungimento di tutti quegli obiettivi che ci stanno più a cuore».[23]
Nell'uno o nell'altro caso, il risultato pratico è egregiamente chiarito, ad esempio, nelle parole dirette e sincere di Augusto Cavadi, quando scrive: «Non so più dove mi è capitato di ascoltare: "I filosofi costruiscono i castelli per aria. I matti corrono ad abitarli. Ma poi sono gli psicoterapeuti che riscuotono l'affitto". Ammesso che così fosse in passato, da qualche anno la situazione sta cambiando».[24] L'affermazione non ha bisogno di alcun commento.

[ Cfr. anche Classificazione delle psicoterapie E1.3.2 (l1) ]

Questioni concettuali e terminologiche concernenti gli ultimi 3-4 paragrafi
Il presente excursus ha natura descrittiva e non è questa la sede per formulare giudizi di valore sulle diverse pratiche esposte. Dal punto di vista concettuale e terminologico, tuttavia, sugli ultimi 3-4 paragrafi è senz'altro doveroso fare alcune puntualizzazioni. Vi sono casi in cui più che di "pratica filosofica" si dovrebbe parlare di "filosofanalisi", o, meglio, di "filosofoterapia" (analogamente a psicanalisi e psicoterapia).
Nonostante la pretesa "filosoficità" dichiarata da iniziatori e cultori di molte delle attività considerate nei paragrafi D1.1.09, D1.1.10, D1.1.11 e D1.1.12, infatti, molte di esse sono volte all'analisi e alla cura di disordini affettivi, nevrotici e comportamentali; e questo tipo di intervento, a rigori, è di tipo eminentemente "psicologico" (Sic!). È buona norma chiamare le cose col proprio nome e anche in questo caso sarebbe opportuno non tradire il principio.[25] A nessuno, ad esempio, è mai saltato in mente di sostenere che la musica e la musico-terapia siano la stessa cosa, oppure, rinnovando la logica del dottor Pangloss di Voltaire, che gli animali esistano per essere adoperati nella pet-therapy; mentre alcuni consulenti "filosofici" vorrebbero fare un tutt'uno della filosofia e della filosofoterapia. Vi sono casi in cui la filosofia è palesemente usata come medium, come instrumentum correctionis et sanationis, così come in altre terapie possono essere adoperate le cose più disparate: musica e arte in genere, letteratura, teatro o altro, ma anche cose come i colori, il verde e la natura, gli animali, il riso o il buonumore, ecc. Di questo occorre prendere atto con la massima onestà intellettuale possibile; e regolarsi di conseguenza.[26]

D1.1.13  Filosofia biografica

La Filosofia biografica (o Mitobiografia filosofica)[27] è una strada verso il filosofare che fa dell'individuo, anzi, della sua biografia una porta d'accesso. Alla filosofia (intesa come ricerca incessante) giunge partendo da ciò che è più vicino al singolo: il suo percorso biografico. Il principio di base è che niente è più universale dell'individualità, e con ciò si prova a tenere l'universale nel biografico e viceversa.
L'idea di una pratica del genere comincia a prendere forma in un lavoro di Romano Madera del 1977, la cui seconda parte è intitolata appunto "Storia e biografia".[28] Successivamente, l'autore intraprende un esperimento di scavo biografico, con un gruppo di amici.[29] In tale contesto nasce la necessità di riscrivere l'interazione dialogica gruppale per evitare che questa divenga una "competizione" comunicativa, secondo una logica confutativa che contrapponga punto di vista a punto di vista, con l'intento, consapevole o meno, di far valere il proprio. Sono stabilite cinque "regole di comunicazione biografico solidale", ancora oggi adoperate nella pratica e ivi affidate non tanto al facilitatore, quanto alla responsabilità di tutti i presenti.[30] Nel 1995 viene fondato un gruppo denominato la "Compagnia di Ognuno", che ancora oggi svolge incontri periodici, a partecipazione libera. Nel '99 avviene l'incontro con Luigi Vero Tarca, che, scrive Madera, «ha impresso al mio percorso la spinta decisiva per il ritorno alla filosofia come pratica della filosofia, cioè come stile di vita».[31] Essi organizzano regolarmente incontri con il nome di "Ritiro di pratiche filosofiche",[32] nella forma di seminari residenziali aperti. Lo scopo è quello di «unire il discorso filosofico agli esercizi filosofici, intesi come strumenti per convertire la propria vita alla filosofia, per rafforzare quindi la pratica della filosofia come modo di vivere. Con una differenza basilare rispetto alle scuole antiche: l'unità dell'impresa non è data dai dògmata di una scuola particolare, ma dal riferimento alle regole di comunicazione biografico-solidale che permettono di accostarsi [...] alle diverse scuole filosofiche o dottrine religiose, selezionandole a partire dalle necessità, dalle domande e dalle precomprensioni proprie di ciascun percorso di vita».[33] L'impostazione è quella di un "ecumenismo biografico", secondo l'idea che ai diversi percorsi di vita che si palesano negli incontri possano ricondursi in qualche senso e misura delle "filosofie".
La filosofia biografica non propone alcuna dottrina, da praticare, difendere o perfezionare nel corso del tempo, ma accoglie ogni pensiero che sappia co-esistere e interagire positivamente con altri. La sua funzione, in qualche senso, è quella di un presidio politico democratico di integrazione, comunicazione e scambio.

Filosofia biografica e consulenza filosofica
Date queste premesse, Madera ritiene che (anche) la consulenza filosofica (stricto sensu) sia «connaturale» rispetto alla filosofia come stile di vita, «nel senso che la consulenza ne può essere parte e dimensione, come ausilio prezioso dei praticanti».[34] Sostiene quindi un tipo di approccio che integri cinque «modi di ricerca»: (a) la tradizione filosofica, (b) gli insegnamenti delle tradizioni religiose sulla meditazione e la contemplazione, (c) la psicologia del profondo (intesa come «ricerca biografica di senso», o «pratica etica»)[35], (d) i metodi della ricerca autobiografica e biografica e (e) le regole della comunicazione biografico-solidale.[36]

D1.1.14  Altro...

...

 

Note

[1]  Nelson fondò nel 1924 in Germania un’associazione, la Philosophisch-Politische Akademie, e una scuola sperimentale, chiamata Landeserziehungsheim Walkemuehle (Fucina Operativa d’Istruzione Nazionale), entrambe le cose allo scopo di incoraggiare nella gioventù l’autostima e l’amore per la verità. Sulla scorta del rinnovamento dell’epoca in ambito educativo, entro cui si muovevano pure Maria Montessori, John Dewey, Peter Petersen o Celestin Freinet, Nelson attribuì grossa importanza al riconoscimento dei bisogni e della individualità di bambini e adolescenti, al ruolo dell’apprendimento di tipo attivo, alle abilità sociali e al senso della comunità. A Nelson succedette Heckmann nella conduzione della scuola, per qualche anno, fino alla chiusura imposta dal Nazismo nel 1933. Nelson aveva già indicato la possibilità di adoperare il metodo del dialogo socratico anche con gruppi di adulti, ma solo nel dopoguerra, soprattutto ad opera di Heckmann, la pratica è stata estesa nella maniera in cui oggi la conosciamo.

[2]  Il "meta-dialogo" (meta-dialogue) è stato introdotto da Heckmann verso la fine degli anni ‘60.

[3]  Per la discussione della direzione e della struttura del dialogo in sé, in quanto gruppo, l’olandese Jos Kessels ha introdotto di recente il livello del "dialogo-strategico" (strategy-dialogue), che si svolge comunque sotto la conduzione del facilitatore. All’interno di una medesima sessione, dunque, ci si può muovere su almeno tre livelli: "dialogo-su-contenuti" (o "dialogo-di-base"), "meta-dialogo" e "dialogo-strategico".

[4]  I racconti e i loro principali contenuti possono essere così schematizzati: L’ospedale delle bambole – Io gli altri, il mondo; Elfie – Ragionare sul pensiero; Kio e Gus – Ragionare sul mondo; Pixie – Ragionare sul linguaggio; Il prisma dei perché – Abilità di base del ragionamento; Lisa – Ragionare sull’etica; Mark – Ragionare negli studi sociali; Suki – Ragionare sull’estetica. I racconti e i loro corposi rispettivi manuali sono stati tradotti in italiano all’interno della collana "Impariamo a pensare" della casa editrice Liguori, di Napoli, frutto della collaborazione fra il Centro Ricerca Insegnamento Filosofico (CRIF) e Centro Interdisciplinare di Ricerca Educativa sul Pensiero (CIREP), cioè le due associazioni italiane che da anni si occupano di P4C e, più in generale, di filosofare con bambini e adolescenti.

[5]  Tra i racconti non-lipmaniani diffusamente adoperati si ricordano i seguenti in lingua inglese: Games for Thinking di Robert Fisher; Thinking Matters: Stories to Encourage Thinking Skills di Richard Fox; Teaching Philosophy with Picture Books di Karin Murris; Newswise; Thinking through the News di Roger Sutcliffe e Steve Williams. In olandese si ricorda: Klein maar dapper, di Berrie Heesen, disponibile pure in tedesco (Klein aber clever) e in inglese (Small but brave). Anche in Spagna, Portogallo e in numerosi paesi latino-americani vi sono racconti alternativi scritti da practitioner di vecchia data. Dopo anni di uso dei racconti "canonici" della P4C, nei diversi paesi menzionati, la stesura di nuovi testi è sembrata opportuna sia nel senso dell’arricchimento del curricolo che in quello del suo adeguamento a esigenze specifiche emerse nelle diverse associazioni nazionali.

[6]  Va comunque sottolineato che la maggior parte delle caratteristiche menzionate sono già contemplate nel curricolo Lipman, specie qualora si tratti di comunità di livello avanzato (cioè che lavorino da tempo con la P4C), ma non solo. Lipman ha da sempre invitato a scrivere nuovi racconti, meglio se con rigore e discernimento, oppure a ricercare spunti diversi per la riflessione (poesie, aforismi, ma anche quadri o quant’altro di interessante e suggestivo possa calamitare l’attenzione dei partecipanti). Anche gli schemi procedurali di lavoro in questo caso possono essere opportunamente modificati, semplificati. Tutto ciò per dire che non v’è alcun tipo di rottura o antagonismo tra P4C e PwC; anzi, le diverse associazioni nazionali interessate lavorano correntemente nell’una o nell’altra maniera, secondo un forte senso di continuità sia teorica che pratica. Esse fanno tutte parte d’altronde dell’International Council for Philosophical Inquiry with Children (ICPIC), struttura unitaria di coordinamento delle attività di formazione e ricerca a livello internazionale.

[7]  Cfr. M. Sautet, Socrate al caffè, Ponte alle Grazie, Milano 1998.

[8]  Ivi, pp. 105-114.

[9] Ivi, p. 107.

[10] Per maggiori informazioni in proposito, cfr. ad es.: A. Cavadi, Quando ha problemi chi è sano di mente, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2003.

[11] Di tale avviso, ad esempio, è l'italiano Augusto Cavadi, il quale parla delle iniziative che egli organizza (week-end, vacanze filosofiche, ecc.) nei soli termini di occasioni «ingegnose» per esercitare la consulenza filosofica, o, almeno, per procurarsi clienti. (Ivi, p. 130.) Altro esempio: anche Sautet fu accusato di adoperare gli intrattenimenti filosofici da lui organizzati al Café des Phares per procacciarsi clientela; egli rispondeva dicendo che pure un insegnante di filosofia «vende i propri servizi», riducendo la «filosofia al livello di merce». (M. Sautet, Socrate al caffè, cit., p. 58.)

[12]  Cfr. O. Marquard (a cura di), "Praxis, Philosophische", in Historische Wörterbuch der Philosophie, Basel 1989, Band 7, pp. 1307-1308. Trad. it. in ..., alla pagina: (URL).

[13]  Cfr. K. Murris & J. Haynes, "Philosophical enquiry with children", in T. Curnow (ed.), Thinking Through Dialogue, Practical Philosophy Press, Surrey (UK) 2001, pp. 159-165.

[14] Cfr. T. Morris, If Aristotle ran General Motors, Henry Holt & Co., New York 1997. Sembra doveroso segnalare, tuttavia, l’esistenza di qualche voce discordante a proposito della filosofia adoperata nel modo illustrato. Sullo sfondo della critica marxiana del capitalismo, Roxana Kreimer, consulente filosofica argentina, depreca questo modo di porsi della filosofia nei confronti dell’economia, privo di spirito critico e comunque "compiacente" verso certi suoi meccanismi di funzionamento. A suo parere, un business etico è di là da venire, mentre ciò che si ottiene in realtà è solo etica o filosofia del business. (Cfr. R. Kreimer, Artes del buen vivir, Anarres, Buenos Aires 2002; Id., Etica de la empresa, 2000, URL:
http://geocities.com/filosofialiteratura/EticaDeLaEmpresa.htm).

[15] P. Van der Geer, R. Peters, In plaats van praten. Debat en Dialoog in organisaties, Het Spectrum, Utrecht 2002.

[16] Cfr. O. Marquard (a cura di), "Praxis, Philosophische", cit.

[17] Ibidem.

[18] Cfr. P. Koestenbaum, The New Image of the Person: the Theory and Practice of Clinical Philosophy, Greenwood, 1978.

[19] Questo fa sì che l’attività in questione non presenti alcuna grossa differenza rispetto ai diversi tipi di psicoterapie umanistiche attualmente esistenti. Carl R. Rogers, ad esempio, ha definito l’ultima versione della sua Client-centered therapy proprio come un approccio filosofico al counseling, sostituendo il concetto di "guarigione" con quello di "crescita psicologica".

[20] Cfr. C. McCullough, Nobody’s Victim: Freedom From Therapy and Recovery, Clarkson Potter, New York 1995.

[21] Marc Sautet, un po' irriverentemente, aggiungeva alla lista pure stregoni, maghi, veggenti, cartomanti ed esegeti di varia fatta. (cfr. M. Sautet, Socrate al caffé, cit.)

[22] L. Missio, Io preda del mio sosia. Dalla filosofia alla psicofilosofia: gli stratagemmi più efficaci per la risoluzione dei disagi della persona, Erga Edizioni, Genova 2005, quarta di copertina.

[23] Ibidem.

[24] A. Cavadi, Quando ha problemi chi è sano di mente, cit., p. 11.

[25] Proprio la volontà di aderire a tale principio giustifica l'uso dell'avverbio "presuntamente" nel titolo del corrente paragrafo D1.1.12.

[26] In alcuni casi si tratta di psicoterapia in piena regola ed è assolutamente pernicioso ritenere che la cura del disturbo psicologico possa rientrare a qualche titolo nell'ambito di pertinenza della filosofia, o del filosofare. [Cfr. quanto detto in proposito nel sottoparagrafo: E1.3.2 (l1).]
Personalmente, il primo e unico caso in cui ho riscontrato l'uso del termine "filosofoterapia" è stato quello dello psichiatra polacco Andrzej Brodziak (Filozofoterapia).

(Cfr. siti: http://salve.slam.katowice.pl/index.html, http://salve.slam.katowice.pl/Filozofoterapia.htm.)

Brodziak ha chiarito che il termine da lui adoperato, per questioni di semplicità, nasce, in realtà, dal gergo giornalistico del proprio Paese e indica, grosso modo, la consulenza filosofica a scopo terapeutico. Sin dalla fine degli anni Ottanta, egli lavora in corsie d'ospedale e nel proprio studio privato mediante un approccio (olistico) che considera il paziente a 360 gradi, spaziando dall'aspetto medico-biologico a quello intellettuale, includendo convinzioni personali, visione del mondo, progetto di vita, ecc. Esiste una "rappresentazione personale dell'universo" (the personal scheme of the Universe) entro la quale, a parere di Brodziak, si verifica talvolta un "deficit di significato" (deficit of meaning); questo deriva da un indebolimento della capacità individuale di credere in se stessi, progettare la propria esistenza, conferire senso al mondo, ecc., con conseguenze perniciose di varia natura. (Per ulteriori dettagli, cfr.: http://salve.slam.katowice.pl/Holistyczna.htm.)
Approcci del tutto diversi concordano sull'esistenza di stati disfunzionali d'origine "noematica", per dirla alla Victor Frankl. La Filosofia clinica di Koestenbaum, ad esempio, lo esprime chiaramente; e altrettanto fa Grimes, nella sua Maieutica filosofica, quando parla di pathologos. Eckart Ruschmann, invece, non lo ammette, ma dice comunque di cercare nel cliente la "filosofia cattiva" (böse Philosophie), da espungere per far posto alla "buona filosofia" (gut Philosophie); e gli esempi analoghi sarebbero numerosi (Ran Lahav, Tim Le Bon, Lou Marinoff, ecc., per fare solo qualche nome fra quelli più noti.) In tutti questi casi l'interesse precipuo non è il corteggiamento del logos filosofico, ma la salute del cliente (psico-fisica, mentale, intellettuale o comunque si voglia intendere); e sarebbe opportuno – se non necessario – ammettere esplicitamente di fare "filosofoterapia", alla stregua di musicoterapia/ arte-terapia, cromoterapia e simili. Anche in Italia vi sono casi del genere, primi fra tutti quelli della "Filosofia in pratica" di Ludovico Berra e colleghi (traduzione italiana di Philosophy in practice, che è una delle espressioni con cui nel mondo anglo-americano viene indicata la consulenza filosofica) e della "Psicofilosofia" di Lino Missio e collaboratori. Entrambi gli approcci dichiarano di voler curare psicopatologie (in pubblicazioni cartacee, seminari, siti Internet, ecc. che sono sotto gli occhi di tutti; cfr. relativa linkografia ragionata contenuta in questo sito), ma poi pretendono di voler restare nel grande alveo della filosofia. Ancor più insidioso, tuttavia, è il caso di quanti abbiano espunto dalla loro produzione scritta e verbale l'intento psicoterapeutico, o lo abbiano magari rivisitato in chiave "filosoficistica", nei mille modi in cui l'impresa è – o almeno sembra – possibile. Dando per scontata la buona fede di costoro, si noterà che non è detto che ciò che si vuol far uscire dalla porta non rientri dalla finestra.

[27] Così Vero Tarca si esprime a proposito di "mitobiografia": «[...] Il vero compimento dell'autobiografia consiste nella collocazione della propria singola esperienza all'interno di una storia collettiva e addirittura in qualche modo universale, all'interno cioè di quella che possiamo chiamare una mitobiografia: la storia di ciascuno è la storia di tutti gli altri, e nello stesso tempo la storia universale è la storia di ognuno». (R. Madera, L. Vero Tarca, La filosofia come stile di vita, Bruno Mondadori, Milano 2003, p. 195.)

[28] R. Madera, Identità e feticismo, Moizzi, Milano 1977.

[29] R. Madera, L. Vero Tarca, La filosofia come stile di vita, cit., p. XXVI.

[30] Le cinque regole sono le seguenti: «(a) Il riferimento all'esperienza biografica è sempre presente, indipendentemente dal tipo di discorso. (b) Le affermazioni dell'altro vengono accolte come espressione del suo sé e delle sue credenze. Ciò significa che la comunicazione si discosta dall'opposizione di tesi in competizione per una verità che escluda la verità dell'altro. (c) L'ascolto dell'altro è aperto, il che significa che tende a sospendere ogni interpretazione sostitutiva del tipo "Quel che ho sentito è solo una copertura di qualcosa d'altro". (d) Il contributo e la restituzione di chi ascolta tendono ad esprimersi come un'offerta anamorfica, il che significa la possibilità che il diverso punto di vista scopra altri aspetti di ciò che si è detto, e che questi altri aspetti possano essere liberamente presi in considerazione, o trascurati, da chi guida l'incontro. (e) La tentazione della distruttività nella contrapposizione confutativa deve essere sospesa e riesaminata autoanaliticamente e in silenzio». (Ivi, pp. XXVI-XXVII.)

[31] Ivi, pp. XXVII-XXVIII.

[32] Il primo Ritiro s'è tenuto nel 2002, presso la Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari. Si sottolinea che il significato attribuito da Madera e Tarca al termine (composto) di "pratiche filosofiche" non è il medesimo qui adoperato. Nella presente sede esso rappresenta il sopraordinato semantico di attività dialogico filosofiche appartenenti alle dimensioni molteplici dell'esistenza e della co-esistenza umana; nel loro caso, invece, esprime l'idea che ciascun percorso individuale di vita sia riconducibile, in qualche senso e misura, ad una "filosofia".

[33] Ivi, p. XXVIII.

[34] Ivi, p. XXIX.

[35] Ivi, p. XX.

[36] Cfr. ivi, pp. XXIX-XX. Il rapporto tra Filosofia biografica e Consulenza filosofica è stato qui discusso in un paragrafo a parte per enfatizzare che le due cose sono tra loro relativamente indipendenti. Per il medesimo motivo, la Filosofia biografica viene menzionata nella presente sede sia nell'ambito del Dilemma esistenziale e vicissitudine personale e sia, a maggior ragione, in quello denominato Tempo libero e realizzazione del sé.

 

 

Pratiche filosofiche, Vers. 2.0  © July 2005
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