D1.1
Excursus storico-descrittivo
La presente pagina
offre una panoramica – certamente parziale – delle diverse
tradizioni d'uso che oggigiorno è possibile riscontrare in materia di
pratiche filosofiche.
Quasi tutte le attività elencate rivisitano in qualche modo la concezione attuale della filosofia
(e del filosofare), se non a livello di statuto disciplinare, almeno nel senso della
sua fruizione e rappresentazione sociale, in una prospettiva eminentemente funzionale e strumentale.
Il rapporto tra le pratiche in questione e l’esercizio filosofico tradizionalmente inteso resta tuttora da chiarire, così come è difficile valutare la rilevanza del loro ruolo, per alcune solo incipiente, all’interno della società. Nell’uno o nell’altro caso occorre comunque ricordare che esse, pur condividendo un livello fondativo-epistemologico comune, vanno certamente distinte a livello pratico-operativo e considerate isolatamente, nei rispettivi ambiti di azione, quanto a bilanci e prospettive per il futuro. Ciascuna pratica possiede una storia
differente rispetto alle altre e caratteristiche del tutto peculiari.
D1.1.1
Socratische gësprach/ Socratic dialogue/ Dialogo socratico
Il metodo del dialogo socratico
è stato ideato dal tedesco Leonard Nelson (1882-1927) ed elaborato dagli esponenti della sua scuola
(Gustav Heckmann, Minna Specht, ecc.) in Germania, Olanda e Inghilterra.[1] Una discussione socratica consiste nella ricerca comune di una soddisfacente risposta a interrogativi e problemi portati dai partecipanti alla discussione, sufficientemente interessanti da poter essere assunti a oggetto di indagine da parte del gruppo. Per evitare di muoversi su livelli puramente astratti, è consigliabile che le sessioni di lavoro partano da un esempio concreto, legato al mondo dell’esperienza vissuta e sufficientemente interessante per
tutti.
Nella discussione socratica si fa uso di argomentazioni, scambi di idee, richieste di spiegazione per quello che si è detto, analisi di concetti, ecc. Il ricorso a informazioni empiriche o scientifiche, pertinenti a discipline filosofiche come logica, teoria della conoscenza, filosofia della mente, etica, filosofia sociale e politica, estetica, ecc. non è affatto necessario, o solo indirettamente. Qualora vengano citate opinioni di autorità, chi che le cita dovrebbe pienamente condividere quanto affermato ed essere pronto a spiegare e a difendere la posizione sostenuta. Il facilitatore ha un ruolo meramente procedurale e non interferisce con il processo dialogico che si va svolgendo. La sua conduzione può essere messa in discussione mediante la richiesta del cosiddetto
"meta-dialogo", gestito da una persona diversa dal facilitatore;[2] in un senso analogo si può discutere di questioni e decisioni procedurali all’interno del gruppo.[3] Risultato principale della discussione socratica è l’approfondimento dell’argomento prescelto e la condivisione del processo, ma grossa importanza riveste pure il lavoro comune dei partecipanti. Il tutto riesce meglio se c’è l’intenzione di scoprire insieme, seguendo attentamente il filo del discorso, senza volontà di emergere sugli altri ed evitando di spostare il fronte della discussione su argomenti non pertinenti, facendo inceppare l’interazione dialogica e la chiarificazione concettuale.
[
Approfondimento Dialogo socratico:
cfr. MARGINALIA theorica, E1.3.2
(c1) ]
D1.1.2 Socratische gespreksvoering/ Socratically inspired dialogue/
Dialogo socraticamente ispirato
Di origine olandese, diffuso anche in altri Paesi del nord Europa, il dialogo di ispirazione socratica rappresenta una varietà di dialogo socratico con regole meno rigide di quello tradizionalmente inteso. Soprattutto, esso non richiede che l’argomento di discussione venga del tutto sviscerato, come previsto secondo le indicazioni procedurali della scuola di Nelson-Heckmann. Ciò comporta un investimento minore in tempo ed energie; e mentre una sessione di dialogo socratico può andare avanti per giorni,
finché non si giunga a qualche conclusione o finché un argomento non venga
del tutto sviscerato, per un dialogo socraticamente ispirato può bastare qualche ora. D1.1.3
Philosophy for children (P4C), Kinderphilosophie
Il progetto pedagogico
e filosofico che va sotto il nome di
Philosophy for children (nei Paesi di lingua tedesca meglio noto come Kinderphilosophie) nasce negli anni Settanta in USA ad opera di Matthew C. Lipman del Montclair State College (New Jersey) e collaboratori, tra cui sono da ricordare Ann
M. Sharp e Frederick S. Oscanyan. Il curricolo comprende materiale strutturato composto di otto racconti in forma dialogica, affiancati da altrettante guide per gli insegnanti, strutturati in base all’età di riferimento e destinati a ragazzi dai cinque ai quindici anni.[4] Le storie propongono situazioni problematiche emergenti dall’esperienza di tutti i giorni, che i protagonisti (bambini, adolescenti, adulti, animali) tentano di interpretare attraverso la riflessione e la discussione in comune, raggiungendo questioni di natura filosofica a partire dall’episodio circostanziato. Prerogative del programma sono la lettura collettiva dei racconti (grossa importanza riveste appunto l’aspetto narrativo) e il confronto che ne consegue, entrambi realizzati in una
"comunità di ricerca" che, attraverso un dialogo autocorrettivo, paritario e orientato da interessi condivisi, intraprende un percorso di costruzione sociale di conoscenza. Il dialogo, così come scaturisce nella comunità di ricerca, assomma, pertanto, ad un’indubbia valenza democratica la possibilità di sviluppare competenze cognitive complesse, per mezzo della negoziazione continua e mai definitiva di significati, prospettive e visioni del
mondo.
La Philosophy for children non si prefigge l’insegnamento disciplinare della filosofia, ma pone come suo obiettivo dichiarato l’apprendere a filosofare quale metodologia per lo sviluppo di abilità di ragionamento (micro- e macro-logiche) concernenti, in particolare, la dimensione metacognitiva e le competenze metalinguistiche. In questo senso il curricolo rappresenta a pieno titolo un modello didattico di educazione al pensiero, ma nello stesso tempo, per le sue caratteristiche, è in grado di agire anche sulle abilità emotive, affettive e sociali in genere, ponendosi a pieno diritto come strumento di educazione civile e morale. D1.1.4
Philosophy with children (PwC)
In alcuni Paesi del nord Europa si parla da qualche tempo di questa varietà di filosofare con bambini e adolescenti. Dietro al cambiamento di preposizione si cela l’idea che la denominazione
Philosophy for children possa far pensare a una sorta di riduzione o semplificazione della filosofia appunto
"per" bambini e adolescenti; mentre la preposizione "con" non dovrebbe dare adito al fraintendimento e, d’altronde, serve a meglio enfatizzare il ruolo com-partecipativo in senso pieno della componente non adulta ai lavori della comunità. A parte la questione linguistica, da segnalare sono alcune variazioni procedurali nella pratica. Di centrale importanza resta lo strumento della
"comunità di ricerca" di Lipman, ma alcune cose cambiano. Ad esempio, l’incipit del dialogo può non essere materiale strutturato, ma qualunque altra cosa, meglio se
breve e comunque densa di spunti di riflessione.[5] Agenda, piano di discussione e altri strumenti procedurali divengono meno
"rigidi" nella loro realizzazione, procedendo il lavoro soprattutto per dissenso e consenso, nella direzione del dialogo, o anche mediante regole stabilite dalla comunità e non predeterminate dal metodo.[6] D1.1.5
Moral development & education
Lo sviluppo del giudizio e della condotta morale sono stati oggetto di molteplici approfondimenti in psicologia. Alcuni hanno posto l’accento sui fattori esteriori, di natura socio-culturale e situazionati, inducenti l’assunzione di norme etiche e di condotte moralmente accettabili. Altri hanno rivolto l’attenzione soprattutto alle componenti intrinseche dello sviluppo individuale, sottolineando la stretta connessione fra le tappe della maturazione mentale e le fasi della crescita morale. Lawrence Kohlberg (1927-1987), psicologo americano, pur riconoscendo l’importanza dei fattori
"estrinseci", ritiene che lo sviluppo morale, come quello cognitivo (strettamente correlati), manifestino in ogni individuo componenti
"intrinseche", con uno specifico ritmo evolutivo ontogenetico (come per Piaget) che percorre una sequenza di passaggi obbligati. A parere di Kohlberg la coscienza e il giudizio morali sono frutto di un processo di maturazione, con stadi e fasi di sviluppo che vanno dalla pressoché totale dipendenza
eteronoma di principi e regole di comportamento, passano per l’interiorizzazione e giungono all’autonomia di giudizio e alla gestione
consapevole.
Kohlberg ha lavorato su più fronti, affiancando alla ricerca psicologica
considerazioni filosofiche, e svolgendo un’intensa attività educativa negli
Stati Uniti. L’approccio cognitivo-evolutivo allo studio del giudizio morale lo ha condotto, nella
pratica didattica, all’idea di trasformare la classe in una
"comunità di giustizia" (community of justice, o just
community), che costantemente si occupi della discussione di interrogativi
etici e politici (nel senso della convivenza civile), comprenda la necessità delle norme e progetti organizzazioni democratiche per la propria vita scolastica. Il processo prevede soprattutto la discussione di dilemmi morali e situazioni conflittuali, che, quando opportuno, possano divenire anche l’occasione per esaminare insieme i sistemi etici della tradizione filosofica (come nelle discussioni di etica
applicata).
[A titolo esemplificativo, si riporta la traduzione di un
dilemma di Kohlberg.]
In realtà la just community è qualcosa di più di un semplice gruppo di discussione su dilemmi morali. A parere di Kohlberg, infatti, l’educazione morale è incompleta o inefficace se resta astratta, cioè limitata alla sola riflessione, individuale o comunitaria che sia. Cosicché, al fine di fornire un contesto reale in cui agire e crescere moralmente, l’idea è quella di scuole in cui gli studenti possano partecipare attivamente alla dimensione organizzativa scolastica, alle attività decisionali e di gestione. Istituzione centrale di queste scuole dovrebbe essere il
community meeting
("incontro di comunità"), in cui si discutano questioni relative alla vita e alla disciplina scolastica e vengano prese democraticamente decisioni, attribuendo uguale valore al parere di studenti,
insegnanti e altri attori del processo educativo-formativo.
La natura dell’educazione morale per Kohlberg è trasversale ai contenuti essenziali della cultura in generale, scientifici o umanistico-filosofici, e il bisogno di
apprendimento-insegnamento, sviluppo ed elaborazione di principi di moralità e giustizia nella scuola contemporanea può essere benissimo paragonato a quello di un qualunque altro insegnamento obbligatorio.
[
Approfondimento
Moral education: cfr. MARGINALIA theorica, E1.3.2
(b1) ]
D1.1.6 Café philò/ Philosophical café - coffee bar, pub, club/
Caffè filosofico
Il caffè filosofico
è fondamentalmente un dibattito pubblico organizzato, disciplinato da poche e semplici
regole (fare interventi argomentati, rispettare la turnazione della parola o
le opinioni altrui, seguire il fronte d'avanzamento del discorso, ecc.). La
comunità dialogante intraprende percorsi di ricerca collettiva su argomenti
stabiliti in anticipo o che emergono dalla comunità stessa, cercando di produrre
momenti "filosofici", che oltrepassino cioè il livello della
semplice opinione per giungere ad un pensiero più autentico.
È stato Marc Sautet ad inaugurare questa tradizione d'uso, nel 1992, presso il
Café des Phares di Parigi. Il caffè filosofico è un'attività pratico-filosofica radicata in una situazione concreta, socialmente condivisa, esperibile da ognuno, nella quale lo scambio di idee avviene secondo procedure che ne garantiscono la democraticità. Ogni partecipante, seguendo comunque il fronte d’avanzamento della discussione, può infatti prendere la parola e i membri del caffè sono tenuti ad ascoltare senza interrompere colui che parla. È prevista la presenza di un moderatore che avvii la discussione, eserciti un ruolo maieutico all’interno della comunità di ricerca e, nello stesso tempo, lavori affinché i partecipanti non si limitino alla mera conversazione. Il caffè filosofico infatti – secondo i suoi sostenitori
– esige l’attivazione di un’interazione dialogica profonda, impostata sulla base di specifiche esigenze argomentative e sostenuta dalla disponibilità all’ascolto produttivo. Il moderatore, pertanto, non riveste la funzione di esperto
in filosofia o di maestro, ma piuttosto quella di un primus inter pares che facilita il cammino della comunità di pratica.[7]
[
Approfondimento
Café philò: cfr. MARGINALIA theorica, E1.3.2
(d) ]
D1.1.7
Incontri, week-end, vacanze-studio e soggiorni all'insegna della
filosofia
Le occasioni per
praticare il filosofare comunitario – o esercitarsi nella riflessione in genere – sono molteplici; alcune anche molto originali. Marc
Sautet, ad esempio, nel libro Socrate al caffè,[8]
racconta di un "viaggio filosofico" ad Atene da lui organizzato, con
quattro clienti del suo studio filosofico, con lo scopo di intendere
meglio il Fedone di Socrate. L'idea era quella di entrare direttamente
in contatto «con il contesto storico, con la vita, la figura, le abitudini [...]
dell'autore, [passeggiando] nei luoghi dove egli ha vissuto, visitando gli
edifici dell'epoca»; forse, «si vedrà pian piano diminuire quella distanza
che sembrava insormontabile» nella comprensione del testo.[9]
Analogamente, Sautet progettava anche un viaggio a Könisberg, sulle rive del Baltico, alla scoperta dei
luoghi in cui Kant passò la propria vita.
Frequenti in tutto il mondo sono incontri seminariali, giornate fuori porta o intere settimane dedicate alla filosofia, ponendo la cosa sotto forma di vacanza-studio,
interessante e stimolante, o quanto meno alternativa. Anche in Italia vi sono
iniziative del genere, organizzate in diversi periodi dell'anno.[10].
Verso la fine degli anni Ottanta, è stato inaugurato ad Amsterdam l'Hotel de
Filosoof, a tre stelle. Esso rappresenta un esempio più unico che raro di
struttura d'accoglienza per il turismo filosofico. Possiede 25 stanze tematiche arredate con
philosophical motifs in cui poter soggiornare; una biblioteca ed eventi
periodici letterari e artistici fanno da cornice al tutto.
Lo spirito con cui tali iniziative sono intraprese è fondamentalmente analogo a quello del Café
philò, a metà strada fra l'interesse da coltivare nel tempo libero e
la realizzazione personale. È tuttavia da segnalare un uso strumentale
fattone da consulenti filosofici che ritengono con ciò di animare in modo
originale le proprie sedute, o di rendere meglio nota la propria attività.[11]
D1.1.8 Philosophy in business (o Business philosophy) – Philosophische
organisations-beratung – Philosophy in the workplace (o Socratic dialogue in the
workplace) – Philosophy management - Filosofia per le organizzazioni e l'azienda
In contesti professionali, le discussioni filosofiche di gruppo, moderate da facilitatori professionisti o anche auto-gestite (nei gruppi di livello avanzato), possono essere adoperate per discutere di identità, obiettivi, strategie e quant’altro possa interessare un’azienda, un’istituzione, o una qualunque organizzazione a livello pubblico o privato. Per il praticante filosofo, si tratta essenzialmente di una consulenza e la filosofia diviene strumento di riflessione sulle modalità per attribuire significato e valore al singolo, all’organizzazione di appartenenza, al mondo esterno e alle loro rispettive relazioni, rendendo esplicite le prospettive già in uso nella particolare situazione in esame o contribuendo a crearne di
nuove.
La pratica filosofica applicata al mondo dell’economia e delle aziende
rappresenta allo stato attuale una realtà estremamente variegata, sia per le sue molteplici origini che per le modalità attuative.
Negli anni ‘70, l’americano Peter Koestenbaum, all’epoca professore di filosofia presso il San Jose State College, in California, ha coniato il termine
Philosophy in business (PiB; o Business philosophy) per indicare la propria prestazione di consulenza in ambito aziendale, basata su assunti simili alla
Clinical philosophy, di cui ugualmente è stato iniziatore, e consistente in attività di
business consultancy, strategic thinking e philosophy of
leadership. In quegli stessi anni, la pratica sorgeva anche in Germania, dove è meglio nota come
Philosophische Organisationsberatung (consulenza filosofica alle organizzazioni), ispirata a principi diversi, cioè quelli della
Philosophische praxis di Achenbach, sulla base della convinzione che, se le imprese hanno una
"filosofia", allora sono proprio i filosofi che possono aiutarle nelle loro principali difficoltà.[12] La
Philosophy in the workplace (o Socratic dialogue in the workplace)
è un’invenzione olandese, più recente. Diffusa in Olanda, appunto, e in altri Paesi del nord Europa, tra cui l’Inghilterra, tratta fondamentalmente di dialogo socratico, o socraticamente ispirato,
oppure s'ispira alla consulenza alla Achenbach, il tutto comunque applicato a questioni di natura economico-aziendale.[13] Simili attività sono alquanto diffuse un po’ dappertutto attualmente, soprattutto in USA, dove la pratica è nota anche con la
denominazione di Philosophy management.[14] E la situazione diviene ancor più complessa se si pensa che nel medesimo ambito operativo, inoltre, ricadono pure nozioni, riflessioni e attività provenienti da tutt’altra parte, cioè dalla filosofia e dall’etica del lavoro o dalla bioetica applicata. D1.1.9
Philosophische Praxis (Lebensberatung)/ Philosophical
counseling/ Consultation philosophique/ Consultoría filosófica/ Consulenza filosofica
La consulenza filosofica nasce in Germania come
Philosophische Praxis nel 1981, anno in cui il tedesco Gerd Böttcher Achenbach aprì uno studio di consulenza filosofica a Bergisch-Gladbach, presso Colonia. Nel 1982 egli fondò l’associazione tedesca di pratica filosofica
Deutsche Gesellschaft für Philosophische Praxis (trasformata nel 1992 nella
International Society for Philosophical Practice). In breve tempo la pratica si estese in Olanda, Austria, Inghilterra, in altre nazioni europee e in Israele; negli anni Novanta è approdata in USA e Canada. Attualmente, associazioni e centri di vario genere sorgono un po’ in tutto il mondo, e conferenze internazionali sono organizzate con cadenza regolare. In generale, adoperando un’utile distinzione fatta dagli olandesi Peter van der Geer e Rik Peters, è opportuno forse parlare di una tradizione europea continentale della pratica, maggiormente orientata verso la filosofia, e una anglo-americana, più vicina alle psicoterapie.[15] Caratteristica fondamentale del
counseling filosofico è quella di fornire, su richiesta, un tempo e uno spazio specifico per la riflessione nell’ambito di processi intellettuali, decisionali, relazionali o esistenziali in senso ampio.[16] Da un punto di vista operativo, si dirà che l’attività del consulente filosofico consiste di conversazioni, discussioni filosofiche autonome, non necessariamente individuali, su qualunque problema o argomento di cui desideri parlare il consultante. Soprattutto nel rapporto uno-a-uno, si tratta di stimolare, incoraggiare l’ospite a esplorare, insieme, le proprie opinioni a un livello più profondo, a vedere più chiaramente le conseguenze delle sue convinzioni, a meglio riconoscere i pre-giudizi personali per ciò che essi sono o a considerare i potenziali vantaggi di altri punti di vista. Pare non vi siano risposte preconfezionate alle questioni che l’esistenza e la co-esistenza continuamente ci pongono, e i consulenti filosofici, in genere, anziché pretendere di porre fine alla ricerca intrapresa dal consultante, preferiscono riferirsi alla loro attività in termini di
"orientamento", "guida", "accompagnamento" e simili.[17]
[
Approfondimenti
Consulenza filosofica: cfr. Orientamento, D2.4.2
(a), D2.4.2 (c) ]
D1.1.10 Clinical philosophy
Padre della Clinical
philosophy è Peter Koestenbaum, già menzionato in precedenza, che definisce l’attività come un tentativo di coniugare la filosofia (su base fenomenologica ed
esistenzialista) con psicologia e psicoterapia.[18] Il suo esempio è stato seguito da altri filosofi
in USA, Europa e non solo (anche in Giappone, ad es., esiste un centro di Clinical philosophy).
In
realtà, difficilmente l'attività in questione può essere definita una
"pratica filosofica", ma il fatto è che i suoi cultori generalmente
lo fanno; e la medesima osservazione vale per casi analoghi, come la
maieutica filosofica, la psicofilosofia o altri tipi di counseling
che di "filosofico" probabilmente possiedono soltanto il nome (cfr. prossimi due paragrafi).
La filosofia clinica si muove fra concezioni e setting di natura psicoterapeutica, nell’approccio al consultante.[19] Oltre a una buona conoscenza della filosofia, al filosofo clinico si richiedono anche solide competenze in psicologia e psichiatria, esperienze di pratica clinica,
oppure di counseling, relazione d'aiuto, ecc. La sua occupazione ha chiare finalità
"terapeutiche", con dinamiche e processi inscritti nel paradigma medico tradizionale malattia-diagnosi-cura. Christopher McCullough, psicologo e counselor filosofico californiano, adopera appunto la denominazione
Clinical philosophy per descrivere l’attività di consulenti o practitioner formati sia in psicologia che in filosofia e
Philosophical counseling per l’attività di coloro che lavorano solo con la filosofia.[20]
[
Cfr. anche Orientamento D2.4.2 (c) ]
D1.1.11
Philosophical midwifery
La denominazione di
"maieutica filosofica" è adoperata dallo statunitense Pierre Grimes per riferirsi alla propria concezione della consulenza filosofica, in apparenza simile alla
Philosophische praxis o al Philosophical counseling, ma diversa sia da un punto di vista teorico che procedurale. Grimes ha lavorato alla messa a punto della sua attività sin dal 1978, adoperando la filosofia socratica e platonica per aiutare la gente a liberarsi di ciò che egli considera come credenza sbagliata o falsa, chiamata "pathologos", responsabile di stati dis-funzionali in individui non affetti da
"patologie" nel senso della psichiatria e della psicologia correnti, ma (presumibilmente)
"sani". La "sanità" psicologica del cliente risulta importante, nella prospettiva di Grimes, soprattutto per il ruolo attivo che questi deve svolgere sia nell’individuare la propria impasse in materia di sistemi di credenze, valori, concetti, ecc. e sia nell’escogitare strategie di risoluzione, ragionandoci. Tra gli assunti di base troviamo l’idea che problemi nella dimensione razionale dell’esistenza individuale possano provocare anche situazioni di disagio emotivo (assunto questo certamente non estraneo pure alla consulenza filosofica di ispirazione
achenbachiana e, soprattutto, ruschmaniana o lahaviana), e può essere dunque opportuno (cominciare a) rimuovere il disagio emotivo agendo a monte, cioè a livello razionale. Il consulente è chiamato
"maieuta" e il consultante "persona feconda" (pregnant person). A parere di Grimes e collaboratori (tra cui Uliana Regina e Barbara Stecker, dell’Academy for Philosophical Midwifery, in California), la pratica del dialogo filosofico di stampo socratico-platonico, con un facilitatore esperto in filosofia, è ambiente idoneo e terreno fertile per riflessioni a tutto campo su aspetti problematici nell’esistenza del consultante, secondo un’interazione dialettica in cui gli slanci filosofici e la libertà di pensiero vengano in qualche senso a integrarsi.
[
Cfr. anche Orientamento D2.4.2 (c) ]
D1.1.12
Filosofoterapia, psicofilosofia, counseling e relazioni d'aiuto
presuntamente "filosofiche"
È ben nota la
tendenza da parte di alcune varietà odierne di analisi psicologica e di
psicoterapia di considerare l'indagine filosofica come parte integrante del
proprio percorso teorico e pratico. Altrettanto, ad alcuni è sembrato del
tutto lecito far compiere alla filosofia il percorso inverso, spesso nella
convinzione che a "curare" i mali della mente, nell'Antichità,
fossero i filosofi, magari indirettamente, prima di passare il testimone a
preti e padri spirituali, per lungo tempo, oppure, più di recente, a
psicologi e psicoterapeuti.[21] L'idea è condivisa ed espressa da consulenti
filosofici di tradizione sia europea (più filosofeggianti) che d'oltre oceano
(più psicologizzanti), per adoperare la distinzione di Geer e Peters prima
menzionata (§ D1.1.09), con la sola differenza che in
un caso la filosofia rivendica (soltanto) un proprio spazio d'azione
ingiustamente occupato da psicologia e psicoterapia, nell'altro tutto quanto
finisce per confondersi, diventando un tutt'uno integrato. (In proposito, cfr.
in questo sito anche la pagina: L'orizzonte variegato della consulenza filosofica: una discussione generale della pratica.)
In altre parole, da un lato si trova una critica (velata o diretta) allo
"strapotere" dello psicologismo nell'analisi e nella cura dei mali
intellettuali umani (esistenziali, politici, etici, spirituali, ecc.), che
sfocia in una dimensione alternativa indicata come "terapia per
sani" e simili; dall'altra si cerca invece di rinsaldare quei legami tra
psicologia e filosofia che furono un tempo intravisti dall'esistenzialismo e
dalle filosofie dell'esistenza in genere, oppure si tenta di
"competere" con le psicoterapie umanistiche e le relazioni d'aiuto
di varia fatta, oggi tanto diffuse, ponendo tra i
propri obiettivi, ad esempio, la creazione di «veri e propri "ambulatori" dove poter mettere a disposizione del benessere psico-fisico dell’uomo tutto il sapere
filosofico».[22] Quest'ultimo diviene dunque serbatoio o tutt'al più fucina
di «metodologie e stratagemmi [...] da utilizzare sia per la risoluzione dei problemi dell’essere umano quali l’ansia, le paure, le fobie e la depressione, sia per il raggiungimento di tutti quegli obiettivi che ci stanno più a
cuore».[23]
Nell'uno o nell'altro caso, il risultato pratico è egregiamente chiarito, ad
esempio, nelle parole dirette e sincere di Augusto Cavadi, quando scrive:
«Non so più dove mi è capitato di ascoltare: "I filosofi costruiscono
i castelli per aria. I matti corrono ad abitarli. Ma poi sono gli
psicoterapeuti che riscuotono l'affitto". Ammesso che così fosse in
passato, da qualche anno la situazione sta cambiando».[24] L'affermazione non
ha bisogno di alcun commento.
[
Cfr. anche Classificazione delle psicoterapie E1.3.2 (l1)
]
Questioni
concettuali e terminologiche concernenti gli ultimi 3-4 paragrafi
Il presente excursus ha natura descrittiva e non è questa la sede
per formulare giudizi di valore sulle diverse pratiche esposte. Dal punto di
vista concettuale e terminologico, tuttavia, sugli ultimi 3-4 paragrafi è
senz'altro doveroso fare alcune puntualizzazioni. Vi sono casi in cui più che
di "pratica filosofica" si dovrebbe parlare di "filosofanalisi", o,
meglio, di "filosofoterapia" (analogamente a psicanalisi e
psicoterapia).
Nonostante la pretesa "filosoficità" dichiarata da iniziatori e
cultori di molte delle attività considerate nei paragrafi D1.1.09, D1.1.10,
D1.1.11 e D1.1.12, infatti, molte di esse sono volte all'analisi e alla cura
di disordini affettivi, nevrotici e comportamentali; e questo tipo di
intervento, a rigori, è di tipo eminentemente "psicologico"
(Sic!). È buona norma chiamare le cose col proprio nome e anche in questo caso sarebbe opportuno non tradire il
principio.[25]
A nessuno, ad esempio, è mai saltato in mente di sostenere che la musica e la musico-terapia siano la stessa cosa, oppure, rinnovando la logica del dottor Pangloss di Voltaire, che gli animali esistano per essere adoperati nella
pet-therapy; mentre alcuni consulenti "filosofici" vorrebbero fare un tutt'uno della filosofia e della
filosofoterapia.
Vi sono casi in cui la filosofia è palesemente usata come medium, come instrumentum correctionis et
sanationis, così come in altre terapie possono essere adoperate le cose più disparate:
musica e arte in genere, letteratura, teatro o altro, ma anche cose come i colori, il verde e la natura, gli animali, il riso o il buonumore,
ecc. Di questo occorre prendere atto con la massima onestà intellettuale
possibile; e regolarsi di conseguenza.[26]
D1.1.13
Filosofia biografica
La Filosofia biografica (o Mitobiografia filosofica)[27] è una strada verso il filosofare che
fa dell'individuo, anzi, della sua biografia una porta d'accesso. Alla filosofia
(intesa come ricerca incessante) giunge partendo da ciò che è più vicino al singolo: il
suo percorso biografico. Il principio di base è che niente è più universale dell'individualità,
e con ciò si prova a tenere l'universale nel biografico e viceversa.
L'idea di una pratica del genere comincia a prendere forma in un lavoro di Romano Madera del 1977, la cui seconda parte è intitolata appunto "Storia e
biografia".[28] Successivamente, l'autore intraprende un
esperimento di scavo biografico, con un gruppo di amici.[29] In tale contesto nasce la necessità di riscrivere l'interazione
dialogica gruppale per evitare che questa divenga una "competizione" comunicativa, secondo una logica confutativa che contrapponga punto di vista a punto di vista, con l'intento, consapevole o meno, di far valere il proprio. Sono stabilite cinque "regole di comunicazione biografico solidale", ancora oggi adoperate nella pratica e ivi affidate non tanto al facilitatore, quanto alla responsabilità di tutti i
presenti.[30] Nel 1995 viene fondato un gruppo denominato la "Compagnia di Ognuno", che ancora oggi svolge incontri periodici, a partecipazione libera. Nel '99 avviene l'incontro con Luigi Vero Tarca, che, scrive Madera,
«ha impresso al mio percorso la spinta decisiva per il ritorno alla filosofia come pratica della filosofia, cioè come stile di
vita».[31] Essi organizzano regolarmente incontri con il nome di "Ritiro di pratiche
filosofiche",[32] nella forma di seminari
residenziali aperti. Lo scopo è quello di
«unire il discorso filosofico agli esercizi filosofici, intesi come strumenti per convertire la propria vita alla filosofia, per rafforzare quindi la pratica della filosofia come modo di vivere. Con una differenza basilare rispetto alle scuole antiche: l'unità dell'impresa non è data dai
dògmata di una scuola particolare, ma dal riferimento alle regole di comunicazione biografico-solidale che permettono di accostarsi [...] alle diverse scuole filosofiche o dottrine religiose, selezionandole a partire dalle necessità, dalle domande e dalle precomprensioni proprie di ciascun percorso di
vita».[33] L'impostazione è quella di un "ecumenismo biografico",
secondo l'idea che ai diversi percorsi di vita che si palesano negli incontri possano ricondursi in qualche senso e misura delle "filosofie".
La filosofia biografica non propone alcuna dottrina, da praticare, difendere o perfezionare nel corso del tempo, ma accoglie ogni pensiero che sappia co-esistere e interagire positivamente con altri. La sua funzione, in qualche senso, è quella di un presidio politico democratico di integrazione, comunicazione e scambio. Filosofia
biografica e consulenza filosofica
Date queste premesse, Madera ritiene che (anche) la consulenza filosofica (stricto sensu)
sia «connaturale» rispetto alla filosofia come stile di vita, «nel senso
che la consulenza ne può essere parte e dimensione, come ausilio prezioso dei
praticanti».[34] Sostiene quindi un tipo di
approccio che integri cinque «modi di ricerca»: (a) la tradizione
filosofica, (b) gli insegnamenti delle tradizioni religiose sulla meditazione
e la contemplazione, (c) la psicologia del profondo (intesa come «ricerca
biografica di senso», o «pratica etica»)[35],
(d) i metodi della ricerca autobiografica e biografica e (e) le regole della
comunicazione biografico-solidale.[36]
...
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