Philosophy for children e pensiero
critico, di Matthew Lipman
Se "insegnare a pensare" e "insegnare il pensiero" rappresentano i due poli entro i quali si decide la qualità di un intervento formativo, la Philosophy for children - afferma Lipman - sceglie la prima alternativa, promuovendo lo sviluppo di un pensiero auto-correttivo e sensibile al contesto che è eminentemente "critico". In forza del modello didattico-epistemologico della comunità di ricerca, il programma consente, infatti, di apprendere, costruire e applicare criteri rilevanti ed affidabili, così come emergono dall'unicità di situazioni particolari, abilità questa indispensabile per maturare giudizi
appropriati.
Children in communities of
inquiry, di Matthew Lipman
In questo saggio Lipman illustra le ragioni dell'adozione della comunità di ricerca come modello metodologico di riferimento della Philosophy for children. Riprendendo e riadattando il concetto da Peirce, Lipman intende la comunità di ricerca come un contesto dialogico di insegnamento-apprendimento che delinea, attraverso l'articolazione di procedure euristico-riflessive, un percorso di ricerca comune in cui le conoscenze individuali si modificano e si arricchiscono nella costruzione di un sapere condiviso dal gruppo e continuamente destrutturato e ristrutturato durante il
processo.
Pensare insieme in
Philosophy for children: alcune riflessioni, di Maura
Striano
Raccogliendo l’eredità della prospettiva socio-costruttivista (Mead, Vygotskji, Bruner) la Philosophy for children si caratterizza come un modello educativo a struttura dialogica e comunitaria, nel quale la formazione individuale avviene in una rete di relazioni cognitive ed affettive che vengono interiorizzate e rielaborate dal soggetto. Il processo di acquisizione della conoscenza si costruisce, così, su un piano intersoggettivo, attraverso il confronto e lo scambio di pensieri e parole. Ciò determina la necessità di pensare e di dire le esperienze, attribuendo loro un significato in relazione ad un mondo e ad una cultura di riferimento. Il confronto con la complessità della realtà esperienziale implica in primo luogo il porsi del soggetto in una prospettiva ermeneutica, che consenta l’attivazione di un processo di individuazione ed attribuzione di significati possibili. La narrazione, quindi, in quanto ricerca ed attribuzione di significato, acquista senso e valore all’interno di una comunità che condivide linguaggi, significati, cultura. Attraverso la narrazione l’esperienza viene recuperata ed assume significati e connotazioni per noi e per gli altri. Può essere, quindi, messa in relazione con le esperienze precedenti e con quelle future, può essere condivisa, può essere apprezzata o considerata priva di
valore.
Oralità, scrittura e
Philosophy for children, di Antonio Cosentino
Nel curricolo Lipman oralità e scrittura non sono i poli opposti di un'antitesi irriducibile, ma i termini dinamici di una dialettica feconda. Se questo è il punto di partenza, la meta finale dovrebbe essere una formazione mentale in gran parte caratterizzata da quelle abilità tipicamente incorporate dalla razionalità alfabetica, anche se sono forti le raccomandazioni a non interrompere il legame che unisce le idee ai fatti, la ragione alle emozioni, i pensieri ai sentimenti, la logica formale a quella informale. Così, la Philosophy for children, conducendo i bambini dall’oralità primaria, attraverso l’alfabetizzazione, verso una seconda oralità, può fare da ponte tra il regno del primo linguaggio parlato inconsciamente e il regno dell’alfabeto, tra un’oralità senza pensiero e l’astratta conoscenza scritta su libri senza
vita.
Dynamics of Pupils in Philosophy
Classes, di Bo Malmhester
Quali dinamiche cognitive e relazionali sostengono le interazioni dialogiche di una comunità di ricerca filosofica composta da bambini? Come si strutturano i ruoli in un gruppo impegnato nella costruzione condivisa della conoscenza? Dalla sua pluriennale esperienza di utilizzazione della Philosophy for children, Malmhester rileva l'emergere, puntuale in ogni comunità di ricerca, di diversi stili cognitivi e relazionali: i ricercatori della verità, i creativi, gli affabulatori, i mind-builders, i dogmatici, gli "ascoltatori attivi", i
critici.
Inquiry is no mere
conversation..., di Susan Gardner
L'autrice discute il ruolo dell'educatore nella comunità di ricerca che, nel modello didattico della Philosophy for children, si configura come un facilitatore della discussione piuttosto che un trasmettitore di saperi, figura classica della pedagogia tradizionale. Il facilitatore si adopera affinché la discussione raggiunga un livello filosofico e non scada nella mera conversazione: segue e stimola attraverso l'uso di domande aperte, interventi di chiarificazione, approfondimento, ricerca di criteri procedurali comuni e condivisibili, senza mai orientare il gruppo verso un obiettivo predefinito, ma preservando lo spirito della ricerca e dell'indagine, necessariamente aperta, dinamica e virtualmente interminabile.
Le ultime storie di Tipper, di
Berrie Heesen
Berrie Heesen, olandese, vedeva nel filosofare con bambini e adolescenti uno strumento per aiutare a incentivare e a sviluppare nei futuri cittadini del mondo maggiore discernimento, pensiero critico, autonomia di giudizio e determinazione,
ecc., ritenendo la cosa di fondamentale importanza, visto che il singolo individuo è sempre più spesso chiamato a muoversi in prima persona in fatto di scelte, decisioni e assunzioni di responsabilità.
Heesen è stato autore del libro Piccoli ma coraggiosi (ediz. in olandese:
Klein maar dapper, 1996; ediz. in tedesco: Klein aber clever, 1998) e
a lungo responsabile internazionale del "Progetto Europeo 100", di P4C.
In questi suoi ultimi racconti (scritti in olandese fra il 2001-02 e
simultaneamente tradotti in altre lingue, tra cui pure in
italiano), Tipper, il protagonista principale, ha un dialogo privilegiato
con lo zio Berrie, gravemente ammalato, e si confronta quindi con temi
quali la malattia e la morte, visti con gli occhi di un bambino.