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C. Criteri di classificazione
La costellazione delle pratiche filosofiche
attualmente in uso è alquanto variegata ed è difficile renderne
conto in maniera univoca e completa. I diversi "criteri di
classificazione" proposti nella presente pagina sono discrimini
che nascono dall'intento duplice di cominciare a "fare un po'
d'ordine" nel marasma generale e, soprattutto, agevolare
ulteriormente la comprensione del fenomeno. Il primo
dei 5 criteri di seguito elencati ha natura diacronica (C1),
gli altri quattro sincronica (C2, C3, C4 e C5). L'uno fa leva sulla stratificazione temporale dell'ambito di riferimento
(prospettiva storico-descrittiva), gli altri su prerogative operative
fondamentali possedute dalle diverse pratiche (prospettiva
metodologico-normativa).
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C1. Genesi e sviluppo storico delle diverse pratiche
Una prima modalità di operare distinzioni
all'interno dell'ambito considerato è quella di seguire la vicenda
storica delle principali pratiche filosofiche.
Snodi storici importanti della tradizione d'uso, che, senza alcun progetto unitario, s'è venuta frammentariamente e indipendentemente costituendo lungo il corso del XX secolo, sono almeno tre o
quattro (in ordine cronologico): la nascita del Socratische gësprach
di Leonard Nelson (anni '20 e '30, rimesso in auge e rivisitato
nel secondo dopoguerra dai suoi discepoli), la Philosophy for children
di Matthew Lipman e collaboratori della Montclair State
University (anni '70), la Philosophy in business di Peter
Köstenbaum (anni '70), la Philosophische praxis di Gerd
Achenbach (anni '80), o la Philosophische organisations-beratung, il
Cafè philò e la Consultation philosophique di Marc
Sautet (anni '80 e '90), ecc. (Un breve excursus storico si
trova nel paragrafo Presentazione generale delle pratiche,
della pagina intitolata "Esordio".)
Ciascuno di questi "eventi" apre la strada ai diversi filoni di sviluppo dell'attività pratico-filosofica, svolgendo in qualche senso e misura una funzione "paradigmatica", per così dire. Nel loro solco (per affiliazione diretta, richiamo teorico o semplice analogia), infatti, è possibile ricondurre la maggior parte delle (altre) pratiche filosofiche
esistenti.
C2. Dimensione
socio-culturale in cui la pratica è adoperata
Questo secondo discrimine è connesso
al precedente, quanto a derivazione logica, ma, dal punto di vista
dell'utilizzazione pratica, è completamente
autonomo rispetto ad esso.
Le pratiche filosofiche si possono distinguere a seconda della
dimensione socio-culturale entro cui vengono adoperate. I principali
contesti da menzionare sono almeno quattro: (C2.1) scuola ed
educazione, (C2.2)
formazione e lavoro, (C2.3) tempo libero e realizzazione del sé, (C2.4)
dilemma esistenziale e vicissitudine personale.
La
figura qui accanto illustra la dispersione completa (Full-house) concernente il criterio in questione, per alcune pratiche, con zone di maggiore pertinenza (colore continuo, pieno) e di minore (colore discontinuo, appena accennato).
In ciascuno di questi contesti vi sono attualmente pratiche
filosofiche. Ivi esse interagiscono, oltre che tra loro, con
approcci e orientamenti di altra natura disciplinare, rispetto a cui
rivendicano una propria specificità. In proposito, cfr. la pagina
intitolata: Uno sguardo ai
territori di confine.
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C3. Materiali, metodi e curricoli
A seconda degli strumenti operativi entro cui una
pratica filosofica consiste o si articola, si può distinguere fra: (C3.1) materiali,
(C3.2) metodi e (C3.3) curricoli. C3.1
Materiali
Questa categoria fa riferimento a composizioni originali
(racconti, favole, descrizioni di situazioni problematiche, testi di
vario genere), d'ispirazione più o meno dichiaratamente filosofica,
la cui prerogativa fondamentale sia quella di far riflettere il
lettore, senza però fornire all'uopo indicazioni procedurali. Possono
trovare ivi collocazione, ad esempio, anche le favole di Ermanno
Bencivenga, oppure la maggior parte dei testi cosiddetti, all'inglese,
"thought-provoking texts", forme di transizione fra la
filosofia tradizionalmente intesa e le pratiche filosofiche. C3.2
Metodi
Sono da considerare come "metodi" molte delle pratiche filosofiche esistenti, in quanto consistono essenzialmente di principi e procedure filosofiche di lavoro da utilizzare in situazioni di gruppo. Contrariamente al caso precedente, non vi sono testi appositamente concepiti, né argomenti e temi pre-determinati. Esempi per eccellenza di questa categoria sono il Dialogo socratico, oppure il Caffè filosofico, generalmente privi di materiale-stimolo preconfezionato, ma entrambi basati su semplici e precise indicazioni procedurali (standard oppure concordate all'interno del gruppo stesso di attività). C3.3
Curricoli
Un'altra forma sotto cui una pratica filosofica può presentarsi è quella del "curricolo", qualora includa sia l'una che l'altra delle cose precedenti. Sono tali, ad esempio, la
Philosophy for children, oppure, per certi versi, la Moral
education, poiché composti al contempo sia di un "metodo" che di "materiale strutturato" (racconti filosofici sotto forma dialogica nel primo caso, dilemmi morali nel secondo), tra loro senz'altro connessi e comunque in qualche misura indipendenti.
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C4. Età dei partecipanti
Un altro tipo di discrimine, affatto banale, è
quello concernente l'età dei partecipanti alle sessioni di lavoro. Vi
sono pratiche filosofiche concepite per l'infanzia e l'adolescenza,
altre destinate all'età adulta.
Un'osservazione interessante è che gli strumenti operativi
(materiali, procedure o entrambe le cose) pensati per le età più
precoci, in realtà, funzionano altrettanto bene per la maggiore età.
Questo è quanto accade, ad esempio, nel caso della Philosophy for
children, che, nella formazione dei facilitatori, adulti, prevede
un'attività del tutto isomorfa a quella da svolgere con bambini e
adolescenti, secondo il noto principio deweyano del learning by doing.
Il curricolo è il medesimo in entrambi i casi, e ciò
consente di fare un paio di riflessioni. In primo luogo, probabilmente è vero che
per "filosofare" non c'è età. Epicuro ha scritto: «Chi è
giovane non aspetti a far filosofia, chi è vecchio non se ne
stanchi». In secondo luogo, soprattutto quando gli argomenti
dibattuti siano i medesimi, tanto con ragazzi quanto con adulti, ci si
rende facilmente conto del fatto che le questioni fondamentali
dell'esistenza si pongono sin da subito. Ciò che cambia,
probabilmente, è solo il grado di complessità con cui esse,
ciclicamente, vengono affrontate nelle diverse età, come illustrato
nella figura riportata a fianco.
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C5. Numero dei partecipanti
Anche il numero dei partecipanti ad una sessione pratica filosofica può costituire un criterio di discrimine. La più generale distinzione può essere fatta tra:
(C5.1) comunità duale (2 persone), (C5.2) piccolo gruppo o medio
(max 10-15 persone) e (C5.3) grande gruppo. La comunità duale è tipica della consulenza filosofica cosiddetta "individuale" (la consulenza filosofica "di gruppo", invece, è fatta generalmente con gruppi di taglia piccola o media). Il piccolo-medio gruppo è quello con cui si lavora nella maggior parte delle pratiche filosofiche attuali. Il grande gruppo è invece tipico dei caffè filosofici, solitamente senza un rigido limite numerico, sia in fatto di quantità (nello spazio) che d'alternanza (nel tempo) dei partecipanti al dialogo.
Si può affermare che, probabilmente, un maggior numero di interlocutori, in una sessione pratica filosofica, è tanto più importante quanto meno essi siano "alfabetizzati" alla filosofia, o al filosofare (della serie: l'unione fa la forza, nel senso di poter contare su un maggior numero di stimoli e contributi individuali), ma occorre pure tener conto dei limiti fisiologici tipici delle dinamiche della riflessione di gruppo, come il fatto, ad esempio, che il numero dei partecipanti non può andare oltre quello che consenta a ciascuno di essi di esprimere la propria opinione almeno un paio di volte, in un arco limitato di tempo. La questione fondamentale è quella di favorire l'emergere dello "specifico filosofico" all'interno del dialogo. Niente è garantito
a priori, da questo punto di vista, ma è pur vero che una serie di "ruoli comunicativi", all'interno della comunità, possono agevolare il decollo "filosofico" della sessione. Questi ruoli sono gli stessi di qualunque altra interazione dialogica fruttuosa: facilitazione, provocazione, modulazione, informazione, supporto metodologico, metacognizione, monitoraggio, controllo, ecc., e concernono sia gli aspetti contenutistici e metodologici del ragionamento a più voci e sia quelli formali e regolativi della comunità.
I gruppi troppo estesi presentano lo svantaggio di ammutolire parte dei presenti, o di farli esprimere in maniera frammentaria e sconnessa. I gruppi troppo piccoli richiedono invece un grande sforzo personale. Nel caso della comunità duale, in particolare, l'onere dei ruoli comunicativi prima menzionati ricade su due sole persone e questo può rendere difficoltosa la riuscita "(con)filosofica" dell'attività. Se a questo si aggiunge che, dei due individui coinvolti nel dialogo, uno è certamente alfabetizzato alla filosofia e avvezzo al filosofare, mentre l'altro, che rappresenta sempre un'incognita, può non esserlo affatto, le cose si complicano ulteriormente. Insomma, probabilmente non è un caso che i gruppi di taglia medio-bassa siano quelli più adoperati, nelle diverse pratiche
filosofiche (cfr. figura accanto), mentre quelli eccessivamente grandi, o troppo piccoli (come la comunità duale), siano quelli più discutibili e criticabili, per varie
ragioni.
In ogni caso occorrerà rammentare un noto principio di Canon della cibernetica, secondo cui i sistemi complessi possono funzionare - e funzionare bene - nonostante la disfunzione di qualche loro parte. E se una comunità dialogica (con tutte le diverse componenti verbali e non-verbali della comunicazione), grande o piccola che sia, può essere vista come un sistema complesso, il resto è conseguenza. Nessuna aspirante comunità di ricerca filosofica può dirsi in linea di principio "fallimentare".
C6. Breve riflessione
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