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E1.1  Puntualizzazioni, chiarimenti

Sono varie le cose che andrebbero puntualizzate trattando di pratiche filosofiche. Il fenomeno è nuovo, magmatico, in continuo movimento ed espansione. Ogni tentativo di sistemazione razionale mostra i suoi limiti, e quello racchiuso nelle presenti pagine, probabilmente, non fa eccezione. Vi sono cose, tuttavia, su cui non è possibile transigere e si possono già fare alcune prime puntualizzazioni, a mo' di esempio, su questioni molto generali.

In futuro, si spera che questa pagina possa assumere l'aspetto di una raccolta di FAQ (Frequently Asked Questions), che cerchi di fornire una risposta alle più comuni domande e richieste di chiarimento pervenute sul sito. A tal fine, indispensabile sarà la collaborazione del lettore.


E1.1.1
Mettere in moto il cervello non significa, ipso facto, filosofare. L'affermazione sicuramente non ha bisogno di essere troppo argomentata. È evidente che ciascuno di noi sa azionare il proprio cervello, ma ciò non vuol dire che faccia continuamente filosofia, 24 ore al giorno, sette giorni su sette.
Celiare a parte, la ‘filosoficità’ – per così dire – della sessione di lavoro di una qualunque pratica filosofica è un punto d'arrivo: niente è scontato, tutto da costruire, da dimostrare. In qualche senso, nelle pratiche filosofiche la ‘filosoficità’ forse è l'eccezione, piuttosto che la regola. A rigori, la meta del dialogo pratico-filosofico è una soltanto: divenire ‘filosofico’, appunto, nella misura e nei modi in cui ciò è possibile.

E1.1.2 — Un'altra puntualizzazione può essere la seguente: le pratiche filosofiche non sono tout court consulenza filosofica (Philosophische praxis, Consultation philosophique, Philosophical counseling, ecc.), cura del sé o altro di analogo. Questo va detto con enfasi, come si può dire che le pratiche filosofiche non sono tout court il dialogo socratico, oppure il Cafè Philò o la Philosophy for children (con tutto il loro portato a livello psico-pedagogico, formativo, politico, sociale, ecc.); e così via. In altre parole, nessuna pratica filosofica può sussumere a se stessa ogni altra possibile, per ragioni sia storiche che teoriche. Tutte hanno pari dignità intellettuale rispetto al sopraordinato semantico racchiuso nel concetto appunto di "pratiche filosofiche". (Sull'argomento, cfr. quanto già osservato nella Breve riflessione a proposito di "Criteri di classificazione".) Eppure il principio menzionato si trova talvolta sconfessato, specie, bisogna dirlo, in lavori sulla consulenza filosofica. (Per fare solo un esempio, cfr. N. Pollastri, Razionalità del sentimento e affettività della ragione, «Discipline Filosofiche», 15, 2005, pp. 79-112: 79; l'autore definisce la consulenza filosofica «la più importante» delle pratiche filosofiche.) Questo è proprio paradossale, perché la consulenza filosofica è quella che più crea problemi e imbarazzo quando si parli di un orizzonte ermeneutico comune di riferimento, sia tra coloro che frequentano pratiche filosofiche altre rispetto alla consulenza e sia, a maggior ragione, tra studiosi e cultori della filosofia che guardino ad essa con interessi diversi da quelli della libera professione, remunerata secondo rapporti economici di natura sinallagmatica.

E1.1.3 — Un'altra convinzione – fortunatamente non troppo – diffusa è che il metodo delle pratiche filosofiche sia uno soltanto (non si capisce quale), esplicitato, realizzato sotto varia forma nei diversi contesti d'azione. L'idea nasce da un duplice fraintendimento di base: (a) uno logico-formale, (b) l'altro sostanziale.
(a) Il termine ‘pratiche filosofiche’ è il nome di una classe di fenomeni, cioè un concetto, un'entità astratta. Esso fa leva sull'orizzonte fondativo comune degli ‘oggetti’ cui si riferisce, ma, per esistere, non ha bisogno di alcuna delle proprietà (reali) degli oggetti di riferimento. L'insieme dei gatti, ad esempio, non ha bisogno di avere la coda come un gatto.
(b) Veniamo alla sostanza. Cercare di dimostrare che le pratiche filosofiche abbiano un unico metodo è come cercare di dimostrare che tutti i gatti del mondo abbiano la stessa coda. Si dirà: forse non è questo che si cerca, ma soltanto il ‘metodo dei metodi’. La questione, allora, si trasforma: perché non cercare pure la ‘coda delle code’? Se si cerca una nuova idea, non se ne capisce il motivo; se si cerca qualcosa di concreto e operativo, la cosa è inutile. Un ‘metodo dei metodi’, ricavato, per assurdo, riflettendo sui procedimenti comuni delle varie pratiche filosofiche, non farebbe altro che aggiungersi ai metodi già disponibili, accrescendo soltanto il loro numero. Il motto del Dottor Sottile è ben noto: «Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem».

E1.1.4 — Difficile rendere nullo il rischio di enfatizzare l'ovvio, purtroppo, nelle faccende umane, ma la filosofia, spesso, si nutre di sottigliezze. Altre puntualizzazioni seguiranno...

 

 

Pratiche filosofiche, Vers. 2.0  © July 2005
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