Valentino F

Valentino F., La conversazione nella philosophy for children

Una delle idee-chiave e linee-guida operative del programma della Philosophy for children è, accanto alla fondazione del-la classe come "comunità di ricerca", l'uso della conversazione - o del dialogo - come strategia didattica e modalità di apprendimento della filosofia.

Semplificando, considero sinonimi questi due termini, pur non ignorando che hanno tratti semantici in parte di-versi. Infatti, se ogni dialogo è conversazione, non ogni conversazione può dirsi dialogo, essendo, questo, reciproco influsso e scambio migliorativo di idee, e quella, semplice espressione e comunicazione di opinioni.

Ma, al di là di questa distinzione, peraltro non indiscussa, il fondare l'apprendimento filosofico sulla conversazione, diciamo, dialogica, è una felicissima intuizione e una scelta pratica geniale per consentire l'ingresso della filosofia nella scuola inferiore.

Alla base di questa scelta, operata da Matthew Lipman, l’inventore della P4C, c'è una concezione della filosofia come campo di problemi umani fondamentali da indagare e conoscere (e non come campo di sistemi intellettuali totalizzanti costruiti l'uno sull'altro), e c'è una concezione del fare filosofico come attività dialogica, conversazione democratica dell' umanità (e non come solitaria creazione di concetti).

Il modello socratico di dialogo proposto da Lipman è coerente con questa duplice concezione, anche se non paiono del tutto infondate le critiche ad esso rivolte da varie parti (asimmetria degli interlocutori, discorso copertamente monologico in cui c'è chi funge da primo attore e chi da "spalla", rapporto non propriamente maieutico, ma orientativo e manipolativo).

E tuttavia non si può negare che l'ispirazione da esso scaturente - dialogare per pensare, comunicare per conoscere - è valida e feconda, e giustamente Lipman l'ha sfruttata, in forma davvero originale nella ideazione del programma della P4C. L'ispirazione si è poi venuta via via arricchendo e affinando anche grazie al lavoro teorico-pratico svolto dal seguaci del filosofo americano.

Questo lavoro ha prodotto un approfondimento teorico e una prassi, ormai consolidata, della conversazione filosofica in classe, conversazione che si può qua-lificare secondo i seguenti attributi: problematica, paritaria, autocorrettiva.

Converrà sviluppare, sia pur brevemente, il loro significato:

1. problematica. La filosofia, è noto, è una vasta articolazione della problematicità. Essa affronta problemi che nascono da domande capitali sull'uomo, sulla vita, sul mondo e a cui cerca di fornire so-luzioni. Pertanto la metodologia da segui-re nel trattarli non può non essere problematica e tale deve essere pure la conversazione se nn vuole ridurla a chiacchiera o a contrapposizione di dogmatismi.

La sua importanza come strumento educativo sta proprio nella sua apertura e flessibilità, nel dare spazio ad una pluralità di posizioni anche conflittuali, perché il pensiero critico ha luogo entro molteplici punti di vista e tende a soluzioni diversificate e non prestabilite.

2. Paritaria. La conversazione filosofica deve essere una relazione simmetrica i cui partecipanti sono pari tra loro e reciprocamente rispettosi; le loro opinioni sono tutte egualmente degne di considerazione perché tutte contribuiscono alla crescita intellettuale della classe. Nel corso della conversazione si realizza un'esperienza intersoggettiva pluridirezionale: tutti comunicano a tutti e con tutti, e ciascun partecipante stimola con le proprie riflessioni le riflessioni degli altri, mirando a un obiettivo comune che è la conoscenza condivisa e lo sviluppo collettivo delle abilità di linguaggio e di pensiero.

3. Autocorrettiva. La conversazione è utile se non si insterilisce in contrasti insanabili derivanti da posizioni rigide e preconcette, ma aiuta il movimento delle idee e quindi il cammino della verità.

Questo significa che i partecipanti devono essere pronti non soltanto a contestare e a criticare le opinioni altrui, ma anche eventualmente ad accoglierle e a cambiare le proprie in conseguenza delle critiche ricevute.

Gli alunni imparano così, attraverso le modifiche e le integrazioni suggerite dal confronto con gli altri, ad autocorreggere il proprio pensiero, a definirlo in modo più chiaro e preciso, diventando auto-critici e responsabili.

L'autocorrezione, come momento ri-flessivo del pensare, è tipico di tutte le forme di ricerca, e la classe occupata nell'attuazione di un programma di P4C, è appunto, o vuole essere, una "comunità di ricerca".

Le qualità illustrate non sono un portato naturale e intrinseco della con-versazione, ma il frutto di un lungo tirocinio. Si sa che i bambini sono grandi conversatori (e chiacchieroni!) nati, parlatori affascinanti. La loro loquacità va però, senza che sia repressa, disciplinata e organizzata e tradotta in capacità dialogica. Non è impresa facile perché si tratta di un processo lento e faticoso.

Tutti gli inseguenti sanno , per esperienza personale, quanto sia logorante impegnare i ragazzi in una conversazione ordinata e produttiva, quali problemi (di linguaggio, di comunicazione, di psicologia, ecc.) questi devono superare prima di riuscire a discutere correttamente. Eccone alcuni, tra i più notevoli e diffusi:

1. Inosservanza del turno di intervento. Nei bambini urge incontenibile il bisogno di esprimersi, di parlare; non di rado in una discussione che li appassiona par-lano tutti assieme e a voce alta (del resto lo fanno anche gli adulti). Sono impazienti e ricorrono a continue interruzioni perché non ce la fanno ad aspettare che gli si dia la parola. Sono loro a prendersela. All'insegnante, che li riprende per tale comportamento, più d'uno risponde: "Non aspetto perché mi dimentico quello che devo dire". In genere gli viene risposto di appuntarsi l'intervento che vuole fare. Ma per il bambino non è la stessa cosa intervenire "a botta calda", come suol dirsi; fare una critica "in diretta" e farla "in differita", quando magari ha perso interesse per l'opinione che voleva esprimere. Eppure occorre che si autocontrolli e che l'insegnante gli presti il massimo aiuto in questo sforzo.

2. Non pertinenza tematica. Ci sono alunni che non si attengono all'argomento in discussione. Ascoltano distratti i compagni che intervengono perché la loro mente è rivolta altrove, concentrata su qualcosa che sta loro particolarmente a cuore in quel momento e che vorrebbero subito comunicare agli altri. Quando arriva il loro turno, invece di esporre pareri sul tema della conversazione, raccontano qualche fatto che li ha colpito e che costituisce per essi il pensiero dominante. Il che distoglie la classe dal discorso in atto e ne frustra l'impegno.

3. Personalizzazione. Talvolta gli alunni introducono nei loro interventi elementi personali: esperienze, ricordi, desideri. Questi elementi possono essere utili, se non vengono troppo sottolineati, perché danno vivacità e concretezza alla discussione, diversamente sono fuorvianti perché la disperdono in rivoli secondari che portano lontano dal corso del fiume discorsivo.

Sono queste le caratteristiche negative più rilevanti della conversazione in classe, almeno nella fase iniziale di svolgimento del programma di P4C. Ma altre ce ne sono cui pure bisogna porre attenzione: ad esempio, l'assolutezza nei giudizi che porta ad asserzioni categoriche prive di ragioni giustificative, e l'egocentrismo intollerante per cui si respingono le critiche anche giuste e si è riluttanti a riflettere comunitariamente con ciò rifiutando la ricerca cooperativa della verità.

Ovviamente questi atteggiamenti nega-tivi pregiudicano un proficuo sviluppo della conversazione e vanno corretti dall'insegnante con pazienza e saggezza. E' necessario far capire agli alunni, più con l'osservazione che con la spiegazione verbale, che ci sono regole procedurali da rispettare, sia inibitorie che pro-positive. E sarebbe assai opportuno incoraggiarli a formulare una sorta di codice di condotta che stabilisca "l'etica del discorso".

E' l'interiorizzazione di questo codice da parte dei ragazzi che garantisce il buon andamento e il buon risultato di una conversazione filosofica e che fa di questa un dialogo autentico, ottimale, che può anche superare, per le qualità formali, quello socratico.

 

 

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