Cosentino A., Oralità, scrittura e Philosophy for children

Non c’è dubbio che le parole, in educazione, rappresentano il principale mezzo di interazione. Il bambino accede al linguaggio parlando. Questo primo linguaggio è basato sull’ascolto e viene fondamentalmente assorbito insieme con l’aria che il bambino respira nel contesto famigliare. Quando egli arriva a scuola, dal momento che le competenze relative all’oralità vengono date per scontate, non gli si chiede di imparare a parlare, ma soltanto a "leggere, scrivere e far di conto".

In questo stadio dello sviluppo, il bambino fa esperienza del passaggio dall’oralità alla scrittura, ricapitolando, in un certo senso, quella svolta che, storicamente, la nostra cultura ha registrato, per la prima volta, nella Grecia del V secolo circa.

Ora, deve essere chiaro che, dal mio punto di vista, imparare a leggere e a scrivere non ha un valore soltanto strumentale. A ben guardare, l’apprendimento della lettura e della scrittura implica, invece, un complesso e radicale processo di formazione, una poderosa attività che sfocia, per lo più, nella costruzione di una nuova mente e di una nuova immagine del mondo.

Troppo spesso la scuola tradizionale non ha tenuto conto di tutte le implicazioni e delle difficoltà che tale passaggio implica, cosicché in molti casi una sorta di vuoto pedagogico tra lingua parlata e lingua scritta è la causa prima di lentezze e di fallimenti lungo il processo di apprendimento. Tradizionalmente, nella scuola , il linguaggio scritto è stato magnificato a discapito dell’oralità. Così i libri di testo possono venire presentati come la sorgente della verità e come modelli e il ruolo di interprete tra l’oralità dello studente e il linguaggio astratto del libro spinge comunemente l’insegnante verso l’autoritarismo.

Citando Lipman: "Ciò che il bambino scopre alla scuola elementare, d’altra parte, è un ambiente completamente strutturato. Al posto del flusso degli eventi, qui c’è ora un programma a cui le cose devono conformarsi. Al posto di affermazioni comprensibili soltanto a partire dall’intero contesto in cui prendono corpo, c’è ora un linguaggio scolastico uniforme e piuttosto indifferente al contesto, pressocché privo di richiami enigmatici".

Quando la scrittura viene presentata in opposizione con l’oralità, si stabilisce un conflitto e il linguaggio dei libri invita a un apprendimento meccanico ed astratto, ad apprendere parole e relazioni tra parole anche prive di significato, per quanto più oggettive e razionali.

Ad ogni modo, nessuno potrebbe negare che nella scuola anche l’oralità occupa uno spazio rilevante: nell’ambito della comunicazione tra gli studenti, nello scambio comunicativo tra studenti ed insegnante. Come ha osservato Lipman: "Per molti ragazzi, l’aspetto sociale dello stare a scuola - stare insieme con dei coetanei - è la sola salvezza". C’è da notare che questa area della comunicazione viene generalmente considerata ininfluente rispetto ai "veri" fini dell’educazione. Pertanto, la conversazione spontanea tra i ragazzi viene considerata come trasgressione; l’interazione tra insegnante e studenti ridotta al parlare del primo (principalmente come interprete del libro) e l’ascoltare degli studenti. Come risultato, si produce una dicotomia tra mondo della conversazione dei ragazzi e mondo dell’istruzione formale e, allo stesso tempo, tra vita sociale ed emozionale, da una parte, ed emergente razionalità, dall’altra.

Allora, perché si possa stabilire un legame più significativo tra linguaggio orale e linguaggio scritto, è importante che gli insegnanti si impegnino, durante le prime fasi della scolarizzazione, ad equipaggiare gli alunni dei prerequisiti necessari in termini di abilità generali quali l’avvio alla decontestualizzazione, il riconoscimento dell’autonomia di un testo e dei suoi significati, la sensibilità verso la dimensione metalinguistica, l’attitudine alla riflessione.

Lundberg ha denominato "coscienza della scrittura" (print awareness) l’insieme di idee e di aspettative che il bambino non ancora scolarizzato sviluppa verso la scrittura, e sono state condotte ricerche al fine di esplorare in che modo e in che misura differenti gradi di "coscienza della scrittura" condizionano la riuscita nell’apprendimento di lettura e scrittura .

Sui risultati di tali ricerche non c’è unanimità di vedute tra gli studiosi, ma nel complesso si può affermare che, nonostante l’alto grado di variabilità dei fattori individuali ed ambientali, appare difficilmente negabile che una significativa "coscienza della scrittura" possa rappresentare il migliore e più affidabile prerequisito per avviare i ragazzi al suo apprendimento ed uso. Un’utile guida per l’insegnante potrebbe essere il seguente prospetto delle sequenze lungo le quali mediamente i bambini si muovono nello sviluppo della loro "coscienza della scrittura):

a. Stadio in cui l’oggetto significato ha una forte dominanza, al punto che il bambino ritiene che soltanto oggetti concreti possono essere scritti (in un linguaggio che conterrebbe soltanto sostantivi). In questa fase la scrittura è molto vicina al disegno.

b. Stadio in cui il bambino incomincia a percepire la corrispondenza tra significato e parola, cosicché egli ritiene che sia possibile scrivere tutto ciò che ha un significato e sviluppa, per esempio, la nozione di verbo.

c. Stadio in cui il bambino coglie la corrispondenza tra simbolo fonetico e suoni della voce, ciò che costituisce propriamente la competenza alfabetica.

Un ulteriore livello di analisi riguarda ciò che comunemente viene indicato come "coscienza del testo" (text awareness). Prima che sappiano scrivere o leggere un testo, i bambini devono essere sollecitati a considerare il loro parlare e le loro conversazioni come testi e, anche, a riflettere su testi che l’insegnante potrà leggere loro già nella scuola per l’infanzia. La "coscienza del testo" riguarda caratteristiche generali come la coerenza, la verità, la fedeltà, la verosimiglianza, e così via. Non è così sorprendente vedere bambini di cinque anni capaci di riconoscere una contraddizione all’interno di brevi testi aventi per contenuto argomenti familiari ai bambini. Similmente, alla stessa età i bambini si dimostrano capaci di completare un sillogismo, se formulato in termini di concretezza.

Ancora una volta, a questa età l’esperienza contestuale ed emozionale si rivela particolarmente importante, sia per i bambini come per gli individui non alfabetizzati. Allora, da queste premesse possiamo ricavare che il genere di testo più adeguato alle possibilità infantili è quello a struttura narrativa nel quale i fattori di contestualizzazione sono dominanti e le emozioni ampiamente coinvolte. Inoltre, la forma narrativa appare collegata sia all’oralità che alla scrittura. Infatti, grazie alle sue specifiche regole, le sue convenzioni, i suoi stereotipi, la narrazione si presta ad essere trasferita nella scrittura.

Ancor prima di andare a scuola, i bambini conoscono molte storie e sono capaci di organizzare una struttura narrativa in modo progressivamente coerente e significativo. È stato provato che bambini di quattro anni sono in grado, in circostanze favorevoli, di controllare le più importanti componenti di una storia. Allora, come è stato autorevolmente sostenuto, la narrazione gioca un notevole ruolo durante la prima alfabetizzazione.

Coerentemente con questi risultati e queste implicazioni, il curriculum di Lipman fornisce efficaci strumenti per operare con successo nel garantire l’integrità del processo evolutivo che va dall’oralità primaria all’alfabetizzazione, svolgendo un’azione che giunge ad interessare significativi e fondamentali abilità cognitive.

Come sappiamo, la Philosophy for children ha il suo fondamento nell’oralità. Come tale, essa è connessa con tutti gli attributi della comunicazione orale (coinvolgimento emotivo, memoria, narrazione, dialogo, ecc.). D’altra parte, essa nutre la tensione verso la ricerca filosofica e, come tale, ha a che fare col pensiero critico (il ragionamento autonomo e logico, il linguaggio decontestualizzato, ecc.). Da quest’ultimo punto di vista, la Philosophy for children esibisce le sue inclinazioni verso il linguaggio scritto.

Tra l’oralità primaria e la razionalità alfabetica si distende un segmento dell’educazione che riguarda

le più decisive e profonde operazioni che costituiscono la competenza alfabetica, le solide basi che possono fare della lettura e della scrittura il punto di arrivo di una processo globale di formazione, piuttosto che degli accessori più o meno utili.

Per meglio precisare questo tipo di processo, può essere sufficiente riepilogare le operazioni comunemente considerate dagli antropologi come prove di una cultura alfabetizzata: decontestualizzazione, distinzione tra testo e sua interpretazione, riflessione, intensionalità, relazioni, metalinguaggio e pensiero autonomo.

In senso ancora più specifico, possiamo pensare, per esempio, alle ampie referenze metalinguistiche diffuse nelle pagine dei racconti che costituiscono il curriculum. Si può esemplificare l’argomento in poche parole, riportando semplicemente come i protagonisti annunciano il loro nome.

- "Il nome della mia bambola è Roller. Questo è il nome che le ho dato io. Quando mi è arrivata non aveva nessun nome";

- "Il mio nome è Jesse. Penso che mi sta bene" (Sharp A.M., The Doll Hospital).- "Il mio nome è Pixie. Pixie non è il mio vero nome. Quello che mi hanno ato i miei genitori. Pixie è il nome che mi sono data io" (Lipman M., Pixie).

Il proprio nome è la parola più ricca di significato per il bambino. Per questa ragione i racconti per i più piccoli iniziano mettendo in evidenza i nomi e ponendo interrogativi su di essi. Partendo dai loro stessi nomi, dalla viva esperienza della propria identità, i ragazzi si esprimono in forma narrativa, parlando in prima persona e aprendosi ben presto alle sollecitazioni verso la ricerca e la riflessione.

In altri termini, mi pare che il programma della Philosophy for children, pur prendendo le mosse dall’oralità, aspira a raggiungere obiettivi che sono specificamente connessi all’alfabetizzazione. D’altro canto, è anche vero che l’oralità da cui parte è già in parte scritta nel testo dei racconti. Da questo punto di vista, si potrebbe anche dire che la Philosophy for children è fondata sulla scrittura. In realtà, quello che dobbiamo sottolineare è che il linguaggio scritto non è, di per sé, l’alfabetizzazione.

Comunque, sebbene oralità e scrittura si rincorrano continuamente nel programma, tuttavia - come nota Lipman - "non è necessario fare grandi concessioni alla tesi che lo sviluppo infantile ricapitola quello della specie per accettare il fatto che, da un punto di vista educativo, il parlare precede la scrittura e che la narrazione precede l’esposizione".

Ciò vuol dire che la Philosophy for children, è inizialmente legata all’oralità intesa generalmente come lo stato psicologico in cui si trovano i bambini di tre-quattro anni, allorché, seguendo il processo di socializzazione, giungono a scoprire e a manipolare le principali funzioni del linguaggio e, soprattutto, la sua forma narrativa, adottata come efficace strategia per fronteggiare i misteri che li circondano, per spiegarsi il mondo, per esprimere se stessi.

Ora, se questo è il punto di partenza, la meta finale dovrebbe essere una formazione mentale in gran parte caratterizzata da quelle abilità tipicamente incorporate dalla razionalità alfabetica, anche se sono forti le raccomandazioni a non interrompere il legame che unisce le idee ai fatti, la ragione alle emozioni, i pensieri ai sentimenti, la logica formale a quella informale. Così, la Philosophy for children, conducendo i bambini dall’oralità primaria, attraverso l’alfabetizzazione, verso una seconda oralità, può fare da ponte tra il regno del primo linguaggio parlato inconsciamente e il regno dell’alfabeto, tra un’oralità senza pensiero e l’astratta conoscenza scritta su libri senza vita.

Da questo punto di vista, il linguaggio scritto è essenziale nel fare filosofia coi bambini, per cui la lettura del racconto, scrivere delle storie, eseguire esercizi scritti, cercare di procedere dalla storia verso l’asserzione, dalla discussione verso il giudizio, dalle cose verso le idee, sono tutte operazioni di importanza cruciale per il programma.

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NOTE

1) M. Lipman, Thinking in Education, Cambridge University Press, Cambridge 1991, p. 10.

2) Ibidem, p. 9.

3) Lundberg I., Lack of Phonological Awareness. A Critical Factor in Dyslessia, in Von Euler C. et Alii (a cura di), Brain and Reading, McMillan, New York 1989.

4) Particolarmente significativi, tra gli studi dedicati all’argomento sono: Garton A.F., Pratt C., Learning to be Literate, Blackwell, Oxford 1989, e Ferreiro E., Teberosky A., Literacy Before Schooling, Heinemann Educational, London 1982.

5) Bruner J., La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 1993.

6) Dias M., Harris P.L., The effects of make-believe in deductive reasoning, in "British Journal of Developmental Psychology", 6/1988, pp. 207-221.

7) Pontecorvo M., Dalla costruzione del sistema di scrittura alle attività di scrittura, in Orsolini M., Pontecorvo M. (a cura di), La costruzione del testo scritto nei bambini, La Nuova Italia, Firenze 1991.

8) Lipman M., Thinking in education, cit., p. 213.

(Il presente testo è tratto dal saggio Tra oralità e scrittura in filosofia: il modello della "Philosophy for children", in De Pasquale M. (a c. di), Filosofia per tutti, Angeli, Milano 1998.

 

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