Antonio Cosentino, Lipman e la Philosophy for children

(Articolo pubblicato in "Bollettino SFI", N° 142/1991).

Philosophy for children non per vezzo di anglofonia. Il problema di utilizzare i corrispondenti termini italiani è connesso a qualche perplessità i cui risvolti non sono soltanto linguistici. Avrebbe convincenti titoli di legittimità una versione 'per ragazzi' di quello che intendiamo per filosofia nella scuola italiana? Quale sorta di referenze pedagogico-didattiche sarebbero ragionevolmente conferibili ad un progetto di insegnamento della filosofia nella scuola elementare e media? Sono questi gli interrogativi che preliminarmente suscita il progetto educativo elaborato dal prof. M. Lipman e che va sotto il nome di Philosophy for Children. Prima di esaminarne più dettagliatamente l'articolazione interna e i contenuti specifici, bisogna rilevare che siamo di fronte ad un curriculum che appare difficilmente conciliabile con la più recente tradizione didattica italiana in fatto di insegnamento della filosofia.

Non è il caso di insistere troppo: la filosofia insegnata nella scuola superiore riformata da Gentile equivale all'esposizione del suo sviluppo storico. Nel secondo Novecento poi, affievolendosi progressivamente l'ispirazione idealistica che fondava e giustificava il metodo storico, è cresciuta l'inclinazione verso la semplice ricognizione dossografica o, all'estremo opposto, verso la strumentalizzazione e l'utilizzazione ideologica dei sistemi filosofici. Le difficoltà attuali relative ad una riforma dell'insegnamento della filosofia sono abbastanza note, così come sono note le peripezie della nostra politica scolastica a proposito della scuola secondaria superiore. Certo è che anche le più recenti proposte di riforma della didattica della filosofia e i dati relativi alla pratica dell'insegnamento nelle nostre scuole1 sono ben lontani dallo smentire il perpetuarsi del primato dell'esposizione storica.

Evitando di entrare in specifiche questioni di merito relativamente al valore della dimensione storica nell'insegnamento della filosofia2, quello che qui si vuole porre in risalto è l'obiettiva difficoltà di avvicinare due differenti modelli di educazione filosofica. Il primo, quello della nostra tradizione storicistica, punta essenzialmente sull'acquisizione di un congruo bagaglio culturale come momento di consapevole sintesi storico-teoretica; l'altro, corrispondente alla proposta di Lipman, dopo essersi sbarazzato di ogni aspetto formale proveniente dalla tradizione, ambisce a recuperare il senso della filosofia come pratica quotidiana di ricerca. Il distacco è avvenuto sull'onda dell'insoddisfazione per l'insegnamento tradizionale esplicitamente dichiarata da Lipman allorché egli era docente di filosofia alla Columbia University. Di fronte alla protesta studentesca del 1968, di fronte alle incomprensioni, agli irrigidimenti e alle intemperanze delle parti in lotta, egli rimaneva sconcertato dallo scarso ricorso alla ragione constatato e incominciava a nutrire seri dubbi sull'utilità dell'insegnamento della filosofia rispetto ad aspettative come la criticità del pensiero, l'autonomia di giudizio, la ragionevolezza della prassi.

La domanda era: se l'educazione ha come finalità complessiva quella di insegnare ai giovani a pensare, come mai il sistema educativo produce tanta irrazionalità di comportamenti?3 La risposta di Lipman si può sintetizzare dicendo che della sfera del pensiero la scuola si occupa quando ormai è troppo tardi, quando lo sviluppo mentale già volge al termine per cui le acquisizioni (per esempio della logica) sono destinate a restare dati estrinseci, nozioni prive di qualsiasi valore formativo. Se la filosofia, ribadisce Lipman, gode di così cattiva fama nella nostra società, la responsabilità è anche dei filosofi che ne hanno accreditato un'immagine di gioco inutile e fine a se stesso. Se risaliamo alle origini, troviamo che il dialogo socratico era rivolto indistintamente anche ai giovani e ciò che Platone voleva tenere lontano da essi era verosimilmente soprattutto la vuota retorica e i rischi educativi connessi al tecnicismo sofistico.

 

2-Prospettive didattiche del programma IAPC

Alla base del programma IAPC (Institute for the Advancement of Philosophy for Children), nella qualità di motivo pedagogico ispiratore, troviamo l'idea di una possibile pervasività didattica della riflessione e della ricerca filosofica. Le implicazioni di questa premessa sono numerose e rilevanti e racchiudono interessanti prospettive didattiche. La prima condizione che rende possibile la trasversalità di un insegnamento è la sua natura formale. Da qui la messa in parentesi degli specifici contenuti disciplinari (testi, autori, astrusità linguistiche, specificità lessicali, e così via). Ciò che resta della filosofia, quello che veramente vale la pena di insegnare a tutti i ragazzi fin dal primo giorno di scuola, è, secondo Lipman, lo straordinario patrimonio di idee che la tradizione ha accumulato (con particolare riguardo alla logica) e, soprattutto, quella peculiare attitudine alla ricerca che si sostanzia nella pratica del confronto dialogico. Questa l'autentica dimensione formativa dell'insegnamento filosofico, la via di accesso alla quale, in una scuola di massa , non può essere rappresentata però dai classici (inaccessibili ai più) e tanto meno dai manuali (sono inerti e nozionistici). Ecco , allora, l'alternativa proposta: una serie di racconti scritti col consapevole obiettivo di fornire strumenti, adatti alle singole tappe dello sviluppo, per aiutare ad apprendere a pensare correttamente.

C'è un passo di uno di questi racconti in cui l'obiettivo viene illustrato dal protagonista con le parole seguenti: <<A scuola noi pensiamo alla matematica, pensiamo all'ortografia, pensiamo alla grammatica. Ma quando mai ci è capitato di pensare al pensiero? [...] Se noi pensiamo all'elettricità, possiamo capirla meglio, e allora, se pensiamo al pensiero, potremo capire meglio noi stessi>>4. E' qui che è racchiuso il carattere formale di questo insegnamento filosofico e, quindi, il suo possibile valore formativo, nonché la sua vocazione transdisciplinare. In realtà, il suo nucleo didattico, definito in termini di finalità generali, consiste nell'attivazione e nell'incremento di ciò che Lipman indica coi termini Thinking skills5.

Prendendo posto in un'area della ricerca educativa nell'ambito della quale si tende ad enfatizzare il valore dell'attività strutturante propria di ogni soggetto che apprende, Lipman ha così ripensato il ruolo dell'insegnamento della filosofia in chiave squisitamente formativa, trovando nella originaria attitudine alla meraviglia e all'eterno interrogarsi insieme i principi di una proposta per una vera e propria riforma dell'educazione. I suoi maestri non sono tanto pedagogisti e psicologi; sono soprattutto i filosofi che hanno saputo usare il linguaggio come strumento di accesso alle idee e come veicolo di comunicazione; soprattutto i Presocratici e Socrate, presso i quali la preminenza della comunicazione orale assicurava alla filosofia la costante compenetrazione con la concretezza del vissuto individuale e sociale. Da questo punto di vista, la ricchezza della filosofia non consisterebbe propriamente nella rete dei suoi concetti, sempre discutibili, quanto, in primo luogo, nel fatto che nella forma socratica <<il far filosofia - asserisce Lipman - era emblematico di una ricerca comune come modo di vivere. [...] Rappresenta paradigmaticamente l'educazione del futuro come forma di vita che non è ancora stata realizzata, e come tipo di prassi>>6.

Così intesa, la filosofia è chiamata a riaffermare la sua funzione educativa essenziale in un rinnovato appello al "Conosci te stesso" che non cessa di riconoscere la mediazione dello scambio comunicativo come tramite insostituibile per la sua realizzazione. Del dialogo Lipman ha fatto la bandiera di un rinnovato attivismo pedagogico. Se da Socrate deriva il senso etico della ricerca in comune, la misura della problematicità di ogni sapere, da Dewey è direttamente mutuato il valore sociale dell'educazione nel senso moderno della stretta interdipendenza di "scuola e società"7: la scuola non può esimersi dal produrre competenze per la società a cui si riferisce come suo ambiente. E, tuttavia, la nozione di funzionalità è posta da Lipman già al di là di ogni negativa strumentalità asservita. E' posta esattamente nella relazione positiva coi bisogni e le forme di articolazione propri di quella grande comunità di ricerca che è l'umanità e, in un senso più profondo, in relazione anche con quella realtà bifronte che è il razionalismo occidentale, la cui crisi può anche significare l'annuncio della fine della metafisica (del potere della metafisica), ma anche, contemporaneamente, l'avvento di un moderno tribalismo8. Con piglio illuministico Lipman non esita ad addossare al sistema scolastico la maggiore responsabilità delle disfunzioni e dei mali che affliggono le nostre società. Essi gli sembrano riconducibili, in ultima analisi, ad un grave deficit di razionalità riscontrabile nella prassi ordinaeria, a dispetto dell'incomparabile dispiegamento di razionalità tecnologica che caratterizza la nostra società.

Così, alla stregua di un tirocinio spendibile in molteplici direzioni, l'insegnamento filosofico punta a suscitare nelle classi scolastiche un ininterrotto impegno di riflessione collettiva avente per oggetto l'attività stessa dell'apprendimento e le sue modalità, con l'assunzione di obiettivi definibili in termini di possesso di strumenti concettuali, di scoperta e di corretto uso delle regole del pensiero, di consapevolezza di adeguate strategie di ricerca, di utilizzazione di approcci analitici rispetto al linguaggio, e così via. Dove c'è ragionamento, c'è necessariamente svolgimento coordinato di specifiche operazioni mentali. Il fulcro del curriculum, punto di partenza e punto di arrivo, è costituito dall'attivazione di una gamma di operazioni mentali, i cui contorni sono stati definiti all'interno di una preliminare operazione di segmentazione, una sorta di analitica dell'attività di pensiero, a partire dalla quale prendono corpo i percorsi di apprendimento. Uno dei Thinking skills che, secondo Lipman, riveste un ruolo chiave nella promozione dell'attitudine al ragionamento è l'esatta formulazione di un concetto. Questo lavoro rappresenta un inizio di riflessione critica sul linguaggio e, nello stesso tempo, un avvio della definizione tramite l'operazione logica della classificazione. Quando si chiede all'interlocutore "Che cosa intendi con questa parola?", egli è spinto dal piano del linguaggio verso quello del pensiero ed è indotto ad avventurarsi per sentieri tanto ardui quanto suggestivi, come, per esempio, nel caso di Pixie, la bambina di nove anni protagonista dell'omonimo racconto, la quale, cercando il significato di "mammifero", incorre nelle difficoltà di avere a che fare con un termine che designa una classe, "la classe degli animali che allattano i figli". Le sue incertezze finiscono per spingerla a domandarsi, per esempio, se la classe dei mammiferi è essa stessa un mammifero, oppure se i maschi dei gatti, che non allatano i gattini, sono ugualmente mammiferi oppure no. Situazioni limite e imbarazzanti, forse anche per l'insegnante, ma ricche di stimoli e sicuramente avvincenti.

Sempre connessi a situazioni concrete, i piani di lavoro prevedono una vasta gamma di attività di apprendimento corrispondenti alle molte specifiche attività di pensiero che insieme formano i requisiti di base per i procedimenti discorsivi. Formulare problemi, addurre ragioni, generalizzare, identificare ed usare dei criteri, stabilire relazioni, operare distinzioni, prevedere conseguenze, riconoscere l'interdipendenza mezzi-fini, ricavare inferenze sono alcune delle abilità incluse nella tassonomia degli obiettivi di Lipman.

3-Una possibile filosofia per ragazzi

<<Sostituire i testi di partenza con opere originali sarebbe come rimuovere il masso all'imboccatura della caverna e farvi entrare la luce del sole>>9. Dal punto di vista della didattica della filosofia, quello dei manuali o, più in generale, degli strumenti di base per una prima introduzione alla disciplina, è un problema sempre avvertito e, in fondo, mai risolto in modo convincente. Le alternative finora proposte non sono più di due. La prima, ritornata recentemente in auge in Italia, indica nella lettura diretta dei classici la via d'accesso da privilegiare e trova nell'autorevolezza di Gentile il suo patrocinio storico10. La seconda, corrispondente all'opzione didattica più diffusa, riconosce nel manuale-sommario uno strumento propedeutico difficilmente sostituibile.

Lipman, dal canto suo, riconosce i limiti del manuale ma, nello stesso tempo, è ben cosciente del ruolo decisivo che gioca la qualità e il tipo di articolazione del linguaggio nella scuola della società della comunicazione di massa. Pertanto, a livello propedeutico, l'impatto con le difficoltà di decodoficazione dell'originario linguaggio filosofico non può che produrre frustrazione o repulsione, senso di estraneità e situazioni di eteronomia. Ciò che Lipman sa bene è che questo costituisce un nodo di difficoltà e di ostacoli tra i più ardui per l'apprendimento della filosofia. Quello dei testi e del linguaggio, dunque, è il primo nodo da sciogliere.

E' stato J. Bruner a sostenere autorevolmente che qualunque disciplina è potenzialmente insegnabile, quale sia l'età degli alunni, a patto che essa venga riformulata nei termini adeguati11. Nell'ottica bruneriana questo significa che la conoscenza delle caratteristiche psicologiche dell'alunno è un requisito indispensabile per il successo di un progetto educativo. Bisogna tenere presente che lo sviluppo attraversa delle fasi e che per ognuna di esse, nonostante la continuità complessiva, valgono peculiari forme di rappresentazione della realtà, diverse 'logiche' il cui rispetto è una delle condizioni preliminari della proficua comunicazione didattica. In accordo con buona parte dell'epistemologia genetica piagetiana, Bruner ha ribadito il succedersi di tre forme fondamentali di rappresentazione della realtà. La prima, quella denominata "attiva", corrisponde grosso modo all'intelligenza senso-motoria della classificazione di Piaget; la seconda, detta "iconica", corrisponde alla piagetiana intelligenza rappresentativa preoperatoria e operatoria; la terza ed ultima, quella "simbolica", corrisponde all'intelligenza formale e, in parte, ancora a quella operatoria. Sommariamente possiamo dire che solo nel corso del secondo stadio, che abbraccia il lungo periodo che va all'incirca dai tre ai dodici anni e implica numerose e fondamentali acquisizioni, prende gradualmente consistenza il distacco tra il soggetto e gli oggetti, allorché il consolidarsi della funzione semeiotica innesca quel processo di duplicazione degli oggetti del mondo esterno su cui poggia la crescente autonomia da essi da parte del soggetto. Il percorso evolutivo sfocia, infine, nelle strutture del pensiero ipotetico-deduttivo che rappresenta il grado più alto dell'indipendenza delle risposte del soggetto dall'immediatezza degli stimoli esterni. E' lo stadio in cui il reale viene rappresentato come una proiezione del possibile (non-contraddittorio); il piano della logica proposizionale, dell'algebra e, a rigore, della filosofia.

Una ulteriore considerazione didatticamente rilevante. Nelle tesi di Piaget i fattori esterni - il sistema scolastico, nel nostro caso - mentre costituiscono la necessaria garanzia per un normale sviluppo intellettivo, non vengono riconosciuti come possibili cause determinanti nella acquisizione delle strutture cognitive. In particolare, nel rapporto tra pensiero e linguaggio, è necessario aspettare che la funzione simbolica sia adeguatamente sviluppata perché si abbiano le corrispondenti prestazioni linguistiche. Al contrario, Bruner, più ottimista rispetto al potere delle tecnologie educative, vede nel linguaggio il più potente strumento di formazione dell'uomo e della sua cultura e sostiene che una valida teoria dell'istruzione potrà indicare le procedure didattiche capaci di favorire, accelerare, migliorare i processi di crescita. E' esemplare, a tal proposito, l'esperimento col quale egli fornì le prove empiriche di come un'elaborazione più mentale del classico problema della conservazione della quantità possa dare risultati contrastanti con le indicazioni di Piaget. Se si versa una stessa quantità di liquido in due bicchieri di forma diversa e in prove successive si coprono i bicchieri con uno schermo, si inducono bambini tra i quattro e i sei anni ad una sorta di concettualizzazione che consente un anticipo nella corretta soluzione del problema.

Rispetto alle coordinate dell'epistemologia genetica di Piaget e alle tesi metodologiche dello strumentalismo evolutivo di Bruner, la Philosophy for children acquista il senso di una raffinata operazione di tecnologia educativa, la quale, pur non poggiando sulla prevalenza di fattori estrinseci, assume il compito di curare e assistere, durante lo stadio delle operazioni concrete nonché al livello della rappresentazione "iconica" e dell'incipiente rappresentazione simbolica, la formazione di quelle strutture cognitive che fungono da prerequisiti necessari per lo sviluppo del pensiero ipotetico-deduttivo. Pur ammettendo, con Piaget, che l'uso dei procedimenti discorsivi non si può insegnare con i trattati di logica, Lipman sembra convinto che molto si può fare se si interviene quando il processo genetico delle strutture intellettuali è in corso; anzi, fin dal suo inizio. Quello che importa, nella sua prospettiva pedagogica, è l'acquisizione tempestiva di un habitus improntato alla ragionevolezza, consistente, nei suoi tratti primari, in un progressivo decentramento del soggetto, quale si ottiene, in primo luogo, mediante la riflessione collettiva che prende corpo nella discussione in classe.

Noi sappiamo dagli studi di Piaget che l'intelligenza operatoria concreta, la quale caratterizza l'età compresa tra i sette e i dodici anni circa, è riconoscibile essenzialmente per la comparsa delle cosiddette "operazioni". Esse sono il frutto di una sorta di smaterializzazione e di interiorizzazione delle azioni; indicano il luogo della soggettività come centro di strutturazione della realtà e di questa segnano il grado di crescente autonomia dagli oggetti esterni: l'acquisizione della "reversibilità" è, a questo riguardo, un indice particolarmente significativo12. D'altra parte, però, un'operazione è contraddistinta dalla permanenza di un vincolo insormontabile nei confronti della concretezza dell'esperienza. Sebbene a questo stadio la dissociazione tra significanti e significati sia già acquisita, tuttavia procedimenti logici come la classificazione, la seriazione, la conservazione della sostanza, restano operazioni realizzate sugli oggetti e condizionate dal progressivo ma ancora incompleto distacco dalle condizioni percettive della conoscenza. A partire da qui, il successivo accesso al 'mondo delle idee' rappresenterà una svolta evolutiva che, dialetticamente, trova i suoi fondamenti nelle acquisizioni precedenti.

Se col racconto Harry Stottlemeier's discovery Lipman vuole fornire essenzialmente un'esposizione introduttiva delle regole della logica, queste regole vengono continuamente ricavate dalla vita e applicate a situazioni concrete. Un sillogismo non è un astratto gioco di simboli, ma, innanzitutto, la possibilità di chiarire lo strano comportamento di un genitore che immagina per il proprio figlio un futuro di ingegnere e sostiene il suo progetto con argomenti fallaci: tutti gli ingegneri sono bravi in matematica; tu sei bravo in matematica; dunque, tu sarai ingegnere. Similmente, che in una inferenza logica il valore di falsità di una conclusione si riflette sulle premesse è una regola scoperta in mezzo al traffico e, più precisamente, quando una bicicletta viene investita dalla macchina che, invece di fermarsi allo stop, come tutte le macchine, procede diritta mettendo a dura prova la consequenzialità tra il segnale di stop e il corrispondente diritto di precedenza: se una macchina non si è fermata allo stop, allora non è vero che tutte le macchine si fermano allo stop.

Ora, se è vero che la proposta didattica di Lipman tiene presenti alcuni esiti dell'epistemologia genetica di Piaget e, soprattutto, si accorda con numerose tesi dello strumentalismo evolutivo di Bruner, tuttavia essa ritrova la sua peculiarità nel forte accento posto su temi di derivazione e di ispirazione filosofica e, in particolare, sulla fiducia che la filosofia, riformulata nei termini di una didattica aggiornata, possa riacquistare una posizione di centralità nella scuola futura. Il ruolo da giocare si esplica fondamentalmente nell'area del linguaggio, che viene assunto nel duplice aspetto di oggetto di indagine e di strumento di chiarificazione e di maturazione del pensiero nella dinamica sociale della comunicazione. Si capisce, così, come il materiale didattico elaborato da Lipman possa assumere i caratteri di una alternativa radicale rispetto alle trattazioni manualistiche. Si tratta indubbiamente di opere d'autore, pensate sin dall'inizio a misura del pubblico a cui sono destinate e rispondenti ad un progetto educativo unitario.

 

4-La 'comunità di ricerca' come modello di comunicazione educativa.

I racconti scritti da Lipman per il suo curriculum, otto in tutto, sono delle storie in cui i ragazzi si rispecchiano, ritrovano tipiche situazioni scolastiche, familiari, di gruppo. Le loro azioni non sono gesta straordinarie, sono conformi al principio di realtà; scarse le concessioni al fantasioso e al bizzarro, ampio lo spazio riservato alle manifestazioni di pensiero divergente. Su una trama piuttosto scarna si snodano appassionate discussioni e riflessioni sui temi più svariati, emersi da situazioni quotidiane e fatti oggetto di problematizzazione. Il collegamento tra questo tipo di strumento didattico e la pratica di chi se ne avvale è diretto. Tramite la lettura in classe, durante la quale lentamente finisce per essere abolita ogni distanza tra chi legge e ciò che sta leggendo, il contenuto del racconto si riversa spontaneamente nella classe; ognuno si sente sollecitato e impegnato a proseguire la discussione, ad aggiungere l'apporto di una sua personale esperienza, ad ampliare ed approfondire, con la consapevole guida dell'insegnante, la ricerca avviata ma non conclusa.

Se la ricerca è destinata a rimanere sempre aperta, sempre lontana da soluzioni definitive, intanto la dinamica del gruppo evolve verso il conseguimento di risultati, afferma i suoi valori: rispettare le idee degli altri, sapere ascoltare, sapere aspettare il proprio turno per parlare, esporre con chiarezza le proprie idee, saper prendere appunti, mettere ordine nelle idee, e così via. Intanto vengono ritagliati, definiti, inclusi nella coscienza problemi che spuntano insospettatamente là dove sembrava tutto scontato, e questo è l'inizio del filosofare, di un filosofare che, con una punta di scettica saggezza, addita nella consapevole rinuncia alle certezze la strada della conoscenza e della tolleranza. Scovare il problema, enunciarlo, farlo emergere e dargli corpo in quanto tale, prospettare, sì, risposte, ma diversificate e alternative, tali da incrementare il senso della problematicità- in una parola, restare al problema, o, meglio, alla problematicità- è ciò in cui consiste il difficile compito critico assegnato ad un tale insegnamento della filosofia.

Nelle classi scolastiche in cui sono ambientati i racconti di Lipman non ci sono professori di filosofia, ma insegnanti che interrompono volentieri le loro lezioni di matematica, di scienze o di grammatica, per affrontare insieme con gli alunni i problemi da loro stessi sollevati, per aiutarli a mettere ordine in ciò che dicono, per incoraggiarli di fronte alle incertezze. E' il momento in cui il rapporto educativo si dimentica delle relazioni di potere su cui è normalmente costruito per lasciare libera espressione ad una "comunità di ricerca" che si compone spontaneamente come gruppo in cui ognuno, attraverso la relazione con gli altri, può trovare se stesso in una prospettiva formativa che per difendere il valore della socializzazione si appella piuttosto alle regole dell'intelletto senza nulla concedere all'ingenuo spontaneismo.

Il quadro fin qui delineato rende conto, in qualche misura, delle qualità pedagogiche del curriculum IAPC, ma sarebbe incompleto se non tenesse conto dei riscontri che rispetto ad esso sono venuti dal mondo della scuola. Tradotti in molte lingue, i racconti di Lipman sono attualmente utilizzati in numerose classi di scuola elementare e di scuola media in varie parti del mondo. In ambito europeo esistono parziali istituzionalizzazioni della Philosophy for children in Spagna, dove sono attivi il "Centro de Filosofia para Niños" di Madrid e l'"Institut de Recerca per l'Ensenyament de la Filosofia" di Barcellona, in Austria, dove è sorta, presso l'Università di Graz, la "Österreichische Gesellschaft für Kinderphilosophie" che organizza corsi in scuole sperimentali, in Olanda, dove sono in corso sperimentazioni e ricerche13. In Germania, infine, c'è un dibattito aperto e vivace, con posizioni molto diversificate, da cui emerge, in particolare, il contrasto tra coloro che ritengono la filosofia come disciplina accademica che si raccomanda soprattutto allo studio dei testi classici e coloro che, invece, la ritengono attività di ricerca e di riflessione da praticare soprattutto mediante lo strumento del dialogo. Da questo secondo approccio deriva una possibilità di filosofare anche con i ragazzi più piccoli. E' ciò che sostengono, anche se con diverse prospettive metodologiche, per esempio E. Martens, B. Bruning, L. Freese, L. Nelson14.

A giugno di quest'anno M.Lipman ha tenuto all'Università di Dubrovnik, in Iugoslavia, un seminario a cui erano presenti operatori e ricercatori provenienti non solo dai Paesi già menzionati, ma anche dalla Romania, dalla Cecoslovacchia, dalla Norvegia e perfino dall'Alaska. A chi, come me, ha avuto l'opportunità di essere tra loro, la Philosophy for children è apparsa nel suo aspetto di impareggiabile esperienza comunicativa, ma, soprattutto, come una possibilità in più per il rinnovamento della didattica.

 

NOTE

(1)Cfr.L.VIGONE-C.LANZETTI, L'insegnamento della filosofia. Rapporto della Sfi, Laterza, Bari 1987.

 

(2)Su questa questione si può vedere, di chi scrive, L'insegnamento della filosofia nei licei. Note storiche e problemi in "Studi di storia dell'educazione", n. 2/1988.

 

(3)Cfr.M.LIPMAN, Philosophy for children, in "Thinking", n. 3/1982, pp. 35-44. Cfr. anche la Prefazione dell'Autore alla traduzione francese di uno dei suoi racconti La découverte d'Harry Stottlemeier (ediz. Vrin, Parigi 1978) dove vengono chiaramente denunciati i limiti della scuola primaria nel campo dell'educazione intellettuale: <<...les problèmes de l'Université ne pouvaient se résoudre dans le cadre même de cette institution. Tant enseignants qu'étudiants, nous étions touts sortis du même moule éducatif primaire puis secondaire. Si nous avions reçu une mauvaise formation à ces échelons initiaux, alors, très vraisemblablement, nous en étions arrivés a partager beaucoup d'idées fausses: cela nous donnait donc toutes les chances de massacrer, avec un bel ensemble, notre éducation ultérieure>>,(p. II).

 

(4)M.LIPMAN, Harry Stottlmeier's discovery, IAPC, Upper Montclair, New Jarsey 1974. La citazione è tratta dalla traduzione italiana curata da chi scrive e non ancora pubblicata.

 

(5)La traduzione 'abilità mentali' è forse riduttiva o eccessivamente behaviorista per un'espressione che vuole denotare non solo le capacità logico-discorsive, ma anche la sensibilità e il giudizio estetico, la valutazione etica, gli attegiamenti sociali. L'elenco di queste 'abilità' è piuttosto lungo e ne comprende più di trenta. A questo proposito si veda M.LIPMAN et alii, Philosophy in the Classroom, Temple University Press, Philadelphia 1980. Più in generale, a proposito di proposte didattiche analoghe accludibili nella denominazione di Teaching thinking skills e le relative indicazioni bibliografiche, si veda R.FISHER, Teaching children to think, Basil Blackwell, Oxford 1990, p.10, nota 7.

 

(6)M.LIPMAN, Pratica filosofica e riforma dell'educazione, in "Bollettino" della Sfi, n. 135/1988, p. 33. In questo articolo Lipman ha ulteriormente chiarito il suo senso di insoddisfazione nei confronti degli attuali esiti dell'educazione, sostenendo che essa sembra aver fallito <<nel produrre persone che si avvicinano all'ideale di ragionevolezza>>, sottolineando, inoltre, che la nostra società, meno di altre del passato, può permettersi il lusso di tollerare l'irrazionalità dei comportamenti: oggi <<noi dovremo ragionare insieme o morire insieme>>, (p. 34).

 

(7)The School and Society è, come è noto, il titolo della prima importante opera pedagogica di Dewey, pubblicata nel 1899. Per la traduzione italiana, cfr. J.DEWEY, Scuola e Società, Newton Compton, Roma 1976.

 

(8)Sul concetto sociologico di 'neo-tribalismo' si veda soprattutto M.MAFFESOLI, Il tempo delle tribù. Il declino dell'individuo, Armando, Roma 1988.

 

(9)M.LIPMAN,Pratica filosofica e riforma dell'educazione, cit., p.39.

 

 

(10)Cfr. G.GENTILE, L'insegnamento della filosofia ne'licei, Sandron, Palermo 1900. In questa, che è l'opera più sistematica di Gentile sull'argomento, egli scrive: <<E' necessario che i discenti assaggino qualche parte delle più celebri e più importanti di quella grandissima letteratura, che ha prodotta il pensiero filosofico della nostra civiltà occidentale; [...] che non credano consistere la filosofia in quelle scarne trattazioni, senz'anima e senza vita, messe loro innanzi nei libri di testo. [...] Nel libro di testo, nell'esposizione del docente si trova la dottrina bella e fatta; ma nell'opera classica trovi la dottrina stessa in sul farsi>>(p.205-206). In proposito, cfr. anche, di chi scrive, Gentile e l'insegnamento della filosofia, nel vol. a cura di G.COTRONEO, Itinerari dell'idealismo italiano, Giannini, Napoli 1989, pp. 1-27.

 

(11)Cfr. J.BRUNER, Dopo Dewey, Armando, Roma 1964. Più precisamente: <<Il compito che quindi si pone per l'insegnamento di una disciplina al fanciullo di una determinata età consiste nel rappresentare la struttura di quella disciplina nei termini del modo infantile di vedere la realtà. Qualcosa, dunque, di simile ad una traduzione>>,(p. 57). Dello stesso Autore si veda anche Verso una teoria dell'istruzione, Armando, Roma 1967.

 

(12)<<Psicologicamente, le operazioni sono azioni interiorizzabili, reversibili e coordinate in sistemi caratterizzati da leggi che si applicano al sistema come a un tutto>>. Per questa definizione, cfr. J. PIAGET, Logica e Psicologia, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 13. Cfr. inoltre J.PIAGET-B.INHELDER, Dalla logica del fanciullo alla logica dell'adolescente, Giunti & Barbera, Firenze 1971.

 

(13)In Olanda sono disponibili le traduzioni di due racconti (Harry Stottlmeier's discovery e Pixie), curate dal prof. K.van der Leeuw, il quale va animando una ricerca attenta anche a contributi di diversa provenienza, a contatto molto stretto con l'area culturale germanica. A questo proposito, cfr. K.VAN DER LEEUW -P.MOSTERT, Philosophieren Lehren, Delft 1988, opera che rappresenta uno sforzo di dare conto in modo abbastanza organico degli orientamenti della didattica della filosofia, con riferimento alla letteratura statunitense e dell'Europa centro-settentrionale.

 

 

(14)Riflessi di questo dibattito sono nella rivista austro-tedesca "Zeitschrift für Didaktik der Philosophie". Si veda, inoltre, E.MARTENS, Dialogisch-pragmatische Philosophiedidaktik, Schroedel, Hannover 1979; E.MARTENS-SCHNÄDELBACH, Philosophie Ein Grundkurs, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1985; W.D.REHFUS, Didaktik der Philosophie. Grundlage und Praxis, Schwann, Düsseldorf 1980; B.BRÜNING, What is a philosophical discussion with young children, Vortragsskript, Malmö 1987. Per un resoconto complessivo dei diversi orientamenti metodologici, cfr. AA.VV., Philosophy and Children, Atti del I Congresso Internazionale di Philosophy for children, Leikam Buchverlagsgesellschaft, Graz 1989.

Bibliografia