PLATONE È MEGLIO DEL VIAGRA!

LA COMMEDIA DEGLI ERRORI POTREBBE CONTINUARE …

Il sorprendente libro di Lou Marinoff criticamente riconsiderato

di Alessandro Volpone

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IN TUTTA SINCERITÀ

L'edizione italiana del lavoro di Lou Marinoff [1] è una buona occasione per tornare a riflettere sui suoi contenuti. La presente nota va considerata come qualcosa a metà fra la recensione e il pamphlet, e questo perché l'istanza ad essa sottostante è almeno duplice. In primo luogo, forse Tudor B. Munteanu due anni fa è stato fin troppo delicato nella sua analisi critica[2]. Mi piacerebbe fare maggiore giustizia. In secondo luogo, suppongo che il sig. Marinoff rimanga ugualmente soddisfatto delle critiche negative quanto di quelle positive. Di certo, il suo istinto di businessman nel mercato delle idee gli dice che la pubblicità, per buona o cattiva che sia, è pur sempre pubblicità. Dunque, chiedo anticipatamente scusa per il sarcasmo e le eventuali crudeltà che potrete probabilmente riscontrare nel mio articolo – nella misura in cui ne sono capace. So bene che è meglio liquidare il libro di Marinoff con una frase o due, quando qualcuno lo menzioni, ma è anche opportuno affrontare direttamente il problema. Personalmente, cerco solo di dare un qualche contributo all'impresa, sperando che vi sia in giro ancora gente paziente e dotata di un grande senso dell'umorismo.


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Platone è meglio del Prozac di Lou Marinoff è essenzialmente un libro "contro": contro la psicologia, contro la psichiatria, contro l'accademismo filosofico, contro... tante altre cose, inclusa paradossalmente la stessa "consulenza filosofica" e la sua relativa giovane dignità! Voglio dire, prima che il sig. Marinoff pubblichi il suo nuovo best-seller, che, trattando di filosofia contro la sessuologia, potrebbe essere delicatamente intitolato Platone è meglio del Viagra, probabilmente è opportuno proseguire e integrare la recensione critica del suo primo libro fatta da Tudor. B. Munteanu. Quest'ultimo era certamente occupato in cose più serie quando ha recensito il libro, così non ha potuto completare la rassegna di sviste e superficialità. Esse sono tuttavia così copiose che probabilmente neanch'io riuscirò a farlo. E chiedo scusa (anche) di questo.


ULTERIORI SVISTE STORIOGRAFICHE ED ERMENEUTICHE

Nel quarto capitolo del suo libro (intitolato "Cosa ti è sfuggito nello studio della filosofia, che oggi può esserti d'aiuto?"), Marinoff fornisce generosamente «una sintesi di alcuni filosofi le cui idee hanno attinenza con la mia pratica di consulenza, offrendo così al lettore una prospettiva storica» (p. 24). Bene, l'unico problema è che molte affermazioni sono palesemente sbagliate, altre risultano molto approssimative. Munteanu ha già elencato alcune di esse[3]; qui c'è qualche altra chicca.

[…] Socrate, Platone e Aristotele. Costoro si rifacevano anche ad alcuni significativi presocratici, come i cinici e i primi stoici. (sic! p. 79)

L'errore è così banale da non richiedere quasi alcun commento. È incredibile. (Come è possibile che un professore associato del City College di New York scriva che i cinici e gli stoici erano presocratici?!)

I primi filosofi moderni, vissuti nel diciassettesimo secolo, hanno contrassegnato la fine del Medioevo. (p. 89)

Che dire? Probabilmente Marinoff ignora o sottovaluta la portata storica del Rinascimento italiano tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento.

Grazie alla rivoluzione filosofica fomentata da Francis Bacon, Thomas Hobbes, René Descartes, Galileo e altri, il mondo non sarebbe più stato lo stesso. (ibidem)

A parte l'uso infelice del verbo "fomentare" ("to foment", nella vers. originale) riferito a un "cambiamento di prospettiva intellettuale", e non a rivolte, atti di terrorismo e simili, per quanto ne sappia la sola riconosciuta "rivoluzione" dell'epoca moderna è quella "scientifica" (non "filosofica"). (Questo non ha niente a che vedere con la stretta relazione esistente tra il pensiero filosofico e quello scientifico). Nel diciottesimo secolo, Kant dichiarò di voler essere "il Copernico della filosofia", e l'affermazione potrebbe introdurre il senso di una qualche "rivoluzione" all'interno della disciplina, ma questa è un'altra storia.

Nella sezione “Gli empiristi”, Marinoff parla di Hume.

E solo il fatto che una cosa regolarmente fa seguito a un'altra, non basta a comprovare che la prima è stata causa della seconda. Per quanto difficile possa apparire l'accettazione della tesi, questa può rivelarsi liberatoria: negare la causa necessaria equivale a dire che non c'è predestinazione, che non c'è fato. Ed è una chiave che spalanca l'uscio al cambiamento delle credenze. (p. 93)

Non capisco molto bene cosa intenda Marinoff con il termine "causa necessaria", ma la questione è: essa ha davvero a che fare con la "predestinazione" e il "fato"? La polemica di Hume concernente la "pre-dizione" (e non la "pre-destinazione") fu incentrata soprattutto contro il metodo induttivo. (Un ricercatore può connettere causa ed effetto mediante induzione, dando per scontata una qualche uniformità spazio-temporale, ma non tutte le induzioni possibili si riferiscono a meccanismi di causa ed effetto; per esempio: l'induzione per semplice enumerazione). Comunque, criticando la relazione di causa ed effetto Hume negava la necessità della "relazione", ma non la "necessità" in sé(?) o l'infondatezza del fato(!). Le cause cui egli faceva riferimento erano cause "efficienti", cioè quelle generalmente adoperate nella scienza. Probabilmente, Marinoff non riesce a cogliere la differenza tra un processo di natura necessitante e uno di tipo deterministico. Il primo è sempre vero a priori, avendo che fare con la pre-destinazione; il secondo è vero solo a posteriori, avendo che fare con la pre-dizione.

Nella sezione "I romantici", Marinoff presenta al lettore Rousseau, scrivendo che questi rappresenta «il prototipo del romantico» (sic! p. 98). Penso sia possibile affermare che Rousseau sia stato un illuminista un po' sui generis, ma la grossolana definizione di "romantico" mi pare troppo azzardata. Rousseau ha pur sempre collaborato alla Encyclopédie (scrivendo articoli di carattere musicale e curando la voce "Economia politica"), e fu amico dei philosophes – sebbene poi se ne allontanò. Gran parte della sua riflessione filosofica rimane all'interno dell'illuminismo: mentre i philosophes riconducevano in genere l'istinto alla ragione, Rousseau riportava la ragione all'istinto. In fin dei conti, il risultato è grosso modo il medesimo. Non è possibile pensare che Rousseau sia un "romantico" tout court.

Successivamente, Marinoff scrive:

In Germania sorse una diversa versione del romanticismo, chiamata idealismo, di cui fu il pioniere Hegel. (p. 98)

Forse egli voleva dire che Hegel può essere considerato il maggior rappresentante dell'idealismo tedesco – e ciò può essere vero in qualche senso. Ma proprio non capisco l'uso dell'espressione "fu il pioniere" ("pionered by", nella vers. originale). Mi piace ricordare che il primo lavoro di Hegel sull'idealismo era intitolato Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling (1801). Dunque, mi pare del tutto evidente che ci fosse qualche altro idealista prima di Hegel in Germania.

Marinoff confeziona poi anche una versione su misura della dialettica hegeliana, ottenendone un prodotto adulterato.

Il concetto hegeliano della dialettica [...] Secondo Hegel, nel conflitto si ha una contrapposizione fra tesi e antitesi, riconciliabili nella sintesi. [...] Secondo Hegel proponendo la sintesi si arriva a una nuova tesi contrapposta a una nuova antitesi, da cui l'elaborazione di una nuova sintesi, e così all'infinito... Anche se non ti va di continuare all'infinito, questo genere di continuo perfezionamento costituisce un utile approccio alla tua personale filosofia di vita. (pp. 99-100)

L'idea del "continuo perfezionamento" della personale filosofia di vita di ciascuno di noi ha molto buon senso. Tuttavia, credo sia difficile sostenere che il processo dialettico hegeliano fosse concepito come "infinito", cioè ricorsivo, soprattutto se ci si riferisce all'opinione di Hegel sulla propria filosofia. Sembra infatti che egli fosse così persuaso della esaustività del proprio sistema filosofico, che negli ultimi anni della sua vita semplicemente ripeteva i suoi corsi universitari, pedissequamente, passando il tempo a giocare a carte con gli amici. Ma a parte questo o altri aneddoti, comunque, non penso sia fuori luogo ricordare che egli è stato il pensatore che ha preteso addirittura che l'indagine filosofica terminasse con lui. Nelle prime pagine dell'introduzione alla sua opera maggiore, la Fenomenologia dello Spirito (1807), egli significativamente scriveva:

Ora, collaborare affinché la filosofia si avvicini alla forma della scienza, affinché giunga alla meta in cui possa deporre il proprio nome di amore del sapere per essere sapere reale, è ciò che mi sono appunto proposto. [4]

Certamente l'Hegel che conosco io è un po' diverso da quello di Marinoff[5].

Un'altra peculiarità concerne il posto e il ruolo che Marinoff attribuisce a Nietzsche ne "Gli esistenzialisti". Inizialmente, la sezione scorre piuttosto liscia, trattando dei problemi e degli argomenti generali degli esistenzialisti, finché Nietzsche non viene inaspettatamente e inopportunamente introdotto: «Muovendo da questo punto di vista Nietzsche affermava: "Dio è morto!"» (p. 104). Poi Marinoff presenta Kierkegaard e Sartre, soffermandosi sulle loro idee. Ma all'improvviso torna di nuovo su Nietzsche: «Friedrich Nietzsche è noto soprattutto per la sua concezione dell'uomo e del superuomo. Riteneva che ogni persona...» (p. 106). Di certo il nichilismo nietzscheano ha influenzato in qualche misura l'esistenzialismo, e la Existenzphilosophie tedesca (a proposito, Marinoff non menziona affatto Martin Heidegger[6]), ma non penso sia possibile includere direttamente Nietzsche fra gli esistenzialisti: questa mi pare qualcosa di più che una semplice esagerazione.

Marinoff ha letto(?) l'enciclica Fides et ratio (1998) di Giovanni Paolo II. C'è qualcosa di sbagliato tuttavia (ovviamente) nella sua interpretazione. Marinoff scrive che «l'enciclica […] esorta i cattolici a dedicarsi alla filosofia» (p. 88). Questo è solo parzialmente vero. Secondo il pontefice, la filosofia, e soprattutto la metafisica, sono particolarmente indicate per stimolare a riflettere sulle questioni fondamentali della vita, e questo potrebbe avvicinare qualcuno a Dio e al suo messaggio di salvezza. (Non so se Marinoff abbia realmente capito il ragionamento del papa e il pensiero ad esso sottostante). Il punto è che Giovanni Paolo II esorta non solo i "cattolici" – come Marinoff afferma –, ma tutti gli esseri umani a interessarsi di filosofia (nella speranza che qualcuno incontri poi la religione). Che senso ha sfondare una porta aperta?

Poi Marinoff continua:

Il papa ammira non soltanto i filosofi occidentali, ma anche i sacri testi dell'India, gli insegnamenti del Budda, le opere di Confucio. Ci troviamo così di fronte a un nuovo interrogativo: anziché chiedere superficialmente: «Il papa è cattolico?», possiamo domandare: «Il papa è un filosofo?». (ibidem).

Bene, questa sembrerebbe una radicalizzazione dell'ecumenismo di Giovanni Paolo II, ma il pontefice non si riferisce ai testi dell'India e all'insegnamenti di Budda o di Confucio in senso "religioso", né in un senso strettamente "filosofico", ma soltanto "antropologico". Giovanni Paolo II semplicemente afferma la dimensione transculturale e metastorica del messaggio cristiano (cfr. Fides et ratio §§ 71-72), nel senso che se Gesù Cristo fosse nato, per esempio, in Cina, e se gli apostoli fossero stati asiatici, allora la Chiesa apostolica cristiana in quanto istituzione non sarebbe stata legata al pensiero e alla razionalità dell'Occidente (come la Chiesa apostolica romana), e ciò nonostante avrebbe avuto comunque il medesimo messaggio salvifico di Cristo – che per il papa è l'unico che sia vero. Giovanni Paolo II non consiglierebbe mai alla gente di leggere i testi menzionati da Marinoff in prospettive (e.g., metafisica, morale, mistica, ecc.) diverse da quella antropologica o storica. E non potrebbe essere altrimenti: ogni religione ha un nucleo centrale di credenze immutabili. Per esempio, l'etica cristiana è "filosoficamente" differente dagli insegnamenti di Budda o cose del genere, e viceversa. Il papa sa bene tutto ciò. [7]

Per quanto mi riguarda, divento dubbioso ogniqualvolta Marinoff, nel suo libro, formula un ragionamento passando senza riflettere dalla filosofia occidentale direttamente al pensiero orientale, e viceversa. La cosa non è così semplice come può sembrare. Tornerò sulla cosa in seguito. 

Cambiamo leggermente argomento. Prescindendo dalla sciatteria diffusa, qualcosa può essere salvato nella rassegna filosofica di Marinoff, come ad esempio la sezione intitolata "Filosofia analitica", qualche pezzo de "Gli esistenzialisti", ecc. Ma proprio questo è il punto: se Marinoff è in grado di descrivere correttamente alcune correnti e idee filosofiche, allora suppongo che quelle completamente e ripetutamente travisate non siano state da lui del tutto comprese. (Sicuramente non è il caso di pensare a errori di stampa!) Tudor Munteanu ha scritto che «una spiegazione delle sviste di Marinoff potrebbe essere il suo riferimento esclusivo a fonti secondarie». Personalmente, suggerisco un'altra possibilità: egli potrebbe aver vinto la laurea in filosofia giocando al Bingo.


PERCHÉ SONO COSÌ INDIGNATO
?

Il libro di Marinoff non rappresenta affatto un lavoro di "divulgazione" [8] – al massimo è "propagandistico"! A un certo punto, Marinoff scrive che «questo libro [è] per i neofiti» (p. 15), ma poi contraddice palesemente l'affermazione più di una volta, sia (a) nelle parole che (b) nei contenuti. Insomma, alla fine lo scopo del libro non risulta affatto chiaro.

(a)  Dopo aver osservato che «questo libro è assai più didattico [sic!] di una consulenza filosofica a quattr'occhi» (p. 25), Marinoff dichiara che «una seduta con un professionista filosofico può svolgersi in tre maniere diverse» (ibidem), e che il suo «libro illustra primariamente il secondo [di questi approcci]» (p. 27). Qual è questa seconda modalità? Ecco:

Un'altra modalità diffusa è la richiesta specifica, da parte del cliente di questa o quella indicazione filosofica. In questa variante, puoi avere reinventato una modalità filosofica e sentirti rassicurato dal fatto di sapere che qualcuno ha già cartografato quel particolare territorio. Nell'eventualità che tu non ne abbia percorso tutti i riferimenti, potrai imparare da coloro che lo hanno fatto prima di te (p. 26).

Altrove, troviamo pure che «questo libro attinge ai massimi filosofi e alle massime filosofie della storia, di ogni parte del mondo, e si propone di indicare il modo di affrontare le questioni importanti della nostra esistenza» (p. 17). Come si può notare, piuttosto che semplicemente "divulgare" la filosofia, Marinoff la adopera (cioè, adopera la sua sgradevole "breve rassegna" di filosofi e filosofie) in maniera chiaramente "funzionale": egli cerca di soddisfare la curiosità del lettore-cliente fornendo «qualche specifica indicazione filosofica». Certamente, questo scopo "professionale" è del tutto diverso dalla mera "divulgazione", sebbene personalmente ritenga che i "neofiti" possano trovare informazioni più serie sulla storia della filosofia nell'Almanacco di Topolino.

(b)  Per quanto mi risulti, generalmente i filosofi (e gli scienziati) non creano teorie filosofiche (risp.: scientifiche) adoperando la divulgazione. Allo stesso modo, i meri divulgatori – e molti di essi sono dei professionisti molto seri del loro settore – sono appunto semplicemente "divulgatori", e non "teorici". Dunque, il libro di Marinoff risulta piuttosto ambiguo da questo punto di vista. Marinoff scrive che i concetti introdotti nella sua breve rassegna filosofica «hanno attinenza con la mia pratica di consulenza» (p. 24), affermazione già richiamata in precedenza, e questo è perfettamente coerente con il fatto che nello stesso libro (terzo capitolo) Marinoff presenta al mondo il «procedimento in cinque fasi detto PEACE (Problema, Emozioni, Analisi, Contemplazione, Equilibrio)». Sinceramente, non trovo alcuna significativa "attinenza", o relazione fra il "metodo PEACE" e la "breve rassegna" filosofica, a meno che Marinoff non si riferisca a banalità del tipo di quelle seguenti: «Descartes [...] Il riconoscimento della dicotomia tra res cogitans e res extensa e delle loro complesse interrelazioni, è proprio ciò che rende possibile la consulenza filosofica» (p. 90); «L'idea della tabula rasa mette anche in risalto la potenzialità della consulenza filosofica» (p. 93); «I pragmatisti [...] Mi piace pensare che i pragmatisti originari avrebbero senz'altro approvato la consulenza filosofica: aiuta la gente, e dunque è pragmaticamente valida» (sic! p. 103). [9]
Marinoff ritiene che osservazioni generiche e vuote come quelle menzionate possano essere abbastanza... abbastanza per scrivere la sua prima solenne affermazione dei "Ringraziamenti" del libro: «Ringrazio i filosofi miei predecessori e contemporanei per la perenne ispirazione che me ne è venuta» (p. 407). Al solo pensiero di ciò, qualche filosofo defunto non potrà che rivoltarsi nella tomba...

Il libro di Marinoff non è divulgazione filosofica, ma (esso pretende di essere) una indagine a livello di teoria della pratica filosofica. (Marinoff illustra le sue "originali" speculazioni personali anche mediante esempi esplicativi). Posso ammettere qualche banale errore nella divulgazione, ma non nel lavoro di ricerca; è soprattutto questo che mi fa indignare. La questione è stata già ben focalizzata da Munteanu come segue:

Anche in un ambito come quello di cui si occupa Marinoff tutte queste teorie sono importanti per il loro forte impatto sui risultati dell'impresa filosofica, e bisogna chiedersi quali possano essere i risultati di una qualsivoglia indagine se le caratterizzazioni più elementari sono così disperatamente fraintese.

 

IL SELF-SERVICE DELLA SAGGEZZA ETERNA

Giungiamo così al nucleo teorico del lavoro di Marinoff: il procedimento PEACE. Pur volendo trascurare i suoi contenuti specifici, alcuni dubbi sorgono comunque sul suo valore teoretico. In breve: le «prime due fasi del processo [Problema, Emozioni] contestualizzano la questione e gran parte delle persone le attraversano spontaneamente, nel senso che non hanno bisogno di nessuno che individui il problema insieme a loro o per loro, anche se a volte si tratta di una questione da rivisitare e mettere a punto» (p.58). […] «La terza fase [Analisi] porta al di là di moltissima psicologia e psichiatria e la quarta [Contemplazione] colloca decisamente la persona nella sfera filosofica» (ibidem). Poi, la fase finale [Equilibrio] «incorpora, nell'esistenza della persona, ciò che ha appreso in ciascuna delle prime quattro fasi» (ibidem).
Come si può notare, la quinta fase è vista come nient'altro che un risultato – una specie di "fase oltre-la-fase", all'interno del procedimento. Per quanto riguarda le altre quattro fasi, invece, il solo stadio "filosofico" riconosciuto è il quarto. I rimanenti stadi possono essere «naturalmente» attraversati da chiunque di noi – psicologo, psichiatra, filosofo o uomo comune che tu sia, a parere di Marinoff, il risultato sarà pressappoco il medesimo! (Personalmente, ritengo che anche la quarta fase non sia del tutto "filosofica" come Marinoff afferma, ma questa è un'altra storia). La questione è: perché le persone dovrebbero pagare per cose che sono in grado di fare da sole? Che strano tipo di "filosofo professionista" è quel genio di Jersey City?! La strada che egli indica parte dal "pressapochismo" e arriva alla "vera filosofia" (nel quarto stadio, o nel quinto?). Dico, è certamente possibile passare dalla «doxa» alla «episteme», per così dire, ma probabilmente la filosofia giace proprio in questo passaggio! Non penso sia possibile raggiungere un qualche minimo standard filosofico adoperando un procedimento – quello PEACE di Marinoff – che mi suona tanto paradossale e fuorviante quanto la "implicazione formale" di Filone di Megara (="dal falso segue il vero"; anzi, nel caso della "filosofia" di Marinoff, addirittura, sarcasticamente, potremmo dire che "dal ridicolo segue il vero"). Dal mio punto di vista, rendere estemporanea o naturalizzare la giusta razionalizzazione dei problemi (riducendola a insipida riflessione sugli ostacoli della vita e sui sentimenti da essi suscitati), non significa solo fare cattiva filosofia: probabilmente, non è affatto filosofia, ma chiacchiericcio.

Il mio problema è che non accetto in sé l'idea del «procedimento PEACE». Marinoff agisce come per fornire "istruzioni per l'uso" di elettrodomestici. (Il Dr. Frankenstein di Mary Shelley avrebbe detto "come costruire un mostro"!) Penso che ci siano nuovi-vecchi metodi migliori e del tutto diversi di approcciare professionalmente la pratica filosofica, se mai ve ne sia davvero bisogno. Occorre fare un passo indietro e chiedersi: perché Marinoff non giustifica la sua esigenza personale di costruire un metodo? E inoltre, perché egli crede che questo metodo debba penosamente imitare procedimenti e algoritmi psicoterapeutici?!

«Il procedimento PEACE […] L'acronimo è appropriato, dal momento che queste fasi sono la via più sicura per raggiungere una durevole pace interiore» (p. 58). Cos'è una tale dichiarazione di sofismo?! Se mi paghi, allora "sicuramente" avrai la "verità", o la "pace interiore". (Onestamente, non so se Marinoff si senta come Dio ogni tanto). Marinoff scrive: «Non è vero che per trarre beneficio dalla sapienza dei secoli occorra una laurea in filosofia o qualcosa di simile» (p. 19). Sono d'accordo, ed egli stesso certamente rappresenta un esempio vivente della sua affermazione. Penso che se avesse proposto una immagine più seria del counseling filosofico, non avrebbe avuto bisogno di richiedere e caldeggiare presso il Consiglio di Stato di New York cose come la certificazione (o licenza) per esercitare la sua attività!

L'altra proposta teorica di Marinoff, come già accennato in precedenza, consiste nel passaggio diretto e del del tutto acritico dalla filosofia occidentale al pensiero orientale, e viceversa, che egli costantemente opera nel suo libro. (Sono sicuro che Marinoff non è consapevole del fatto che questo passaggio costituisca in qualche senso una "proposta teorica", cioè qualcosa da giustificare scrupolosamente). Adoperando una pregevole metafora piscatoria, egli scrive tranquillamente:

Ho ritenuto indispensabile pescare con la mia rete non soltanto filosofi occidentali […]. Durante il periodo dell'antichità che va dal 600 al 400 a.C. circa, si sono formate tre importanti correnti filosofiche. […] La scuola di Atene […]. Nello stesso periodo, in un'altra regione del pianeta, i Saggi della foresta indiani (il più famoso dei quali è Siddharta Gautama detto il Buddha) contribuivano alla visione del mondo indù. Più lontano ancora, Confucio e Lao Tzu erano intenti a elaborare il confucianesimo e il taoismo, i quali, insieme al più antico I Ching, costituiscono il cuore della filosofia cinese. Fu un periodo cruciale delle civiltà antiche, che ebbe importanza formativa sulla storia della filosofia. Con i miei clienti mi avvalgo di queste tre tradizioni in misura suppergiù eguale, naturalmente adeguando le mie scelte al singolo individuo (pp. 78-79).

Ecco un esempio. Parlando dell'I Ching, egli scrive:

Tu cerchi consiglio, lanci alcune monete, e l'I Ching ti fornisce un'esperta guida per puro caso. Ciò non vuol dire che sia perfettamente esatto, ma certo è che funziona. Hume pensava che "caso" sia un termine volgare, espressione solo della nostra ignoranza, e l'affidabilità dell'I Ching porta a credere che Hume avesse ragione (p. 405).

Considerando serie di eventi, Hume suppose che solo l'«abitudine» ci rende sicuri che quando un evento segue un'altro, il primo causa il secondo. E, ancora per «abitudine», quando non troviamo eventi che si succedono l'uno all'altro, parliamo di "caso". (In questo senso, il termine è espressione della nostra ignoranza). Stando così le cose, come è possibile che Marinoff disturbi Hume al fine di giustificare ciò che egli chiama la "affidabilità" dell'I Ching? In effetti, una sola di queste due possibilità può esser vera: o l'I Ching è "affidabile" o Hume aveva ragione! In questo caso, Marinoff palesemente sbaglia ad applicare lo scetticismo humeano. Quale strana ragione "soprannaturale" lo ha persuaso del fatto che se «lanci alcune monete [...] l'I Ching ti fornisce un'esperta guida per puro caso»?! E infine, cosa c'entra l'opinione di Hume con questa rispettabile ma molto personale sua "superstizione"?!

L'appendice D del libro di Marinoff, intitolata "Come consultare l'I Ching", «indica brevemente il modo appropriato di servirsi delle monete» (p. 399), per imparare a interpretarle. Marinoff non è cinese, ma americano; e pretende di essere soltanto un "filosofo". Intendo rispettare le sue idee, tuttavia ritengo sia meglio che egli venga in chiaro con se stesso prima di affermare cose come «molta parte del pensiero della New Age prende il via dal presupposto che il mondo (e tutto ciò che contiene) sia esattamente quello che dovrebbe essere» (p. 22). Qual è la vera ragione per cui Marinoff ritiene che l'I Ching sia "affidabile" appunto "esattamente come dovrebbe essere"?! In effetti, trovo molto strani i suoi vari attacchi contro la New Age: «Questo libro può farti da guida. Anziché offrire superficiali suggerimenti da New Age […], offre sapienza convalidata dal tempo, specificamente intesa ad aiutarti a vivere realizzandoti con integrità in un mondo dalle sfide sempre impellenti» (p. 17). Questo genere di giustificazioni ed espressioni analoghe mi lasciano molto perplesso. 

Invece di sprecare il mio tempo a criticare la gran quantità di confusioni fatte da Marinoff tra il pensiero occidentale e quello orientale, del tutto differenti l'un l'altro da un punto di vista strettamente epistemologico, preferisco citare direttamente qualche elegante riflessione sull'argomento fatta da Emile M. Cioran, acuto pensatore che soffrì disperatamente La tentation d’exister.

«La vita intensa è contraria al Tao», insegna Lao-zi, l'uomo più normale che sia mai esistito. [Al contrario,] maestri nell'arte del pensare contro se stessi, Nietzsche, Baudelaire e Dostoïevski ci hanno insegnato a puntare sui nostri pericoli, ad ampliare la sfera dei nostri mali, ad acquistare esistenza separandoci dal nostro essere. E ciò che per il grande cinese era simbolo di decadimento, esercizio di imperfezione, per noi costituisce l'unica modalità di possederci, di entrare in contatto con noi stessi. [10]

Il nostro male? Secoli di attenzione al tempo, di idolatria del divenire. Ce ne affrancheremo forse facendo ricorso alla Cina o all'India?

La liberazione, se realmente ci sta a cuore, deve procedere da noi stessi: a nulla serve cercarla altrove, in un sistema già fatto o in qualche dottrina orientale.

Più d'uno ha l'India facile e s'immagina d'averne colto i segreti, mentre nulla in verità ve lo predispone, né il carattere, né la formazione, né le inquietudini. Che pullulare di falsi «liberati» che ci guardano dall'alto della loro salvezza! [11]

In realtà, tra Ottocento e Novecento vari filosofi hanno riflettuto sulla relazione tra filosofia occidentale e pensiero orientale (come Hegel, Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger, Sartre, per nominarne solo qualcuno). Tuttavia Marinoff non menziona alcuna opinione sull'argomento, e questo conferma ancora una volta la sua sorprendente superficialità come "teorico" – quale egli pretende di essere. L'effetto maggiormente persuasivo delle differenze esistenti tra filosofia occidentale e pensiero orientale è quello della nascita della "Scienza moderna": non si tratta di un mero accidente capitato nel nostro mondo. Edmund Husserl, ad esempio, scriveva al riguardo:

Per comprendere più a fondo la scienza greco-europea (in termini universali: la filosofia) e la sua differenza di principio dalle «filosofie» orientali, a cui abbiamo assegnato uguale valore, è necessario osservare più da vicino l'atteggiamento pratico-universale proprio di queste filosofie anteriori alle scienze europee, e chiarirlo nel suo significato mitico-religioso. [12]

[...] È errato, è una falsificazione di senso parlare, educati come siamo al pensiero scientifico nato in Grecia e rielaborato nella scienza moderna, di una filosofia e di una scienza (di un'astronomia, di una matematica) indiane, cinesi, e interpretare l'India, Babilonia, la Cina in senso europeo. [13]


UN'ULTIMA BREVE RIFLESSIONE

Il libro di Marinoff è diventato un best-seller in sedici diverse nazioni (Italia inclusa), diffondendo per tutto il mondo penosamente errori, incomprensioni, superficialità, ecc. in esso contenuti. Come possiamo giustificare la cosa? È possibile che il counseling filosofico rappresenti un'idea di così grande successo da far sì che anche i brutti lavori come quello di Marinoff vendano bene. (Se questo è vero, sarà opportuno affrettarsi a scrivere un libro sull'argomento il prima possibile!) Altrimenti, si può anche supporre che la gente non legga poi così attentamente i libri che compra. Probabilmente, il nostro mondo è troppo pieno di slogan urlati e aforismi usa e getta per lasciar spazio oggigiorno alla coerenza, all'onestà, alla compostezza o al sacrificio di una vita realmente ponderata, alla Socrate. Non sono un pessimista; il fatto è che la grande fortuna del libro di Marinoff rappresenta certamente per la cultura una sconfitta a livello internazionale. Viene addirittura da chiedersi come sia possibile continuare a far filosofia nella società dopo questa clamorosa disfatta!

 


 

[1]  L. Marinoff, Platone è meglio del Prozac, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2001; 416 pp.

[2]  T. B. MUNTEANU, Critical Review of Lou Marinoff’s Plato, not Prozac!, in The Proceedings of the Friesian School,
Fourth Series
, electronic journal and archive of philosophy – http://www.friesian.com/munteanu.htm.
[Una traduzione italiana della recensione è attualmente disponibile all'URL Internet: http://www.geocities.com/philosophy_practices/friesian_school/Recens_Munteanu.htm.] 

[3]  Ecco una lista.

- la sola fonte di notizie su Socrate e la sua filosofia è Platone [page 57; tr. it. p. 83];
- Kant era un razionalista [page 65; tr. it. p. 93];
- il noumeno di Kant è una modalità dell'"aspetto reale" del mondo (che è comunque un "apparire"), e non una modalità dell'essere [page 65-66; tr. it. p. 94];
- Platone figura tra i personaggi del suo dialogo La Republica [page 183; tr. it. p. 247];
- Platone fu "alla guida dei naturalisti" [page 186; trad. it. p. 251];
- la teleologia si identifica con l'utilitarismo filosofico [page 192; tr. it. p. 259];
- il metodo elenchico di Socrate rivela soltanto ciò che qualcosa non è, mentre il Dialogo Socratico ha invece espressamente di mira ciò che una cosa è [page 262; tr. it. p. 350];
- ecc.

[4]   G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Bompiani, Milano 2000, p. 53.

[5]   Nel corso del XX secolo, svariati pensatori (ad esempio, alcuni sociologi e filosofi della complessità) hanno rivisitato la dialettica hegeliana nel senso indicato da Marinoff. (Rivalutando alcuni aspetti di essa, costoro hanno reso ricorsivo il processo di tesi/antitesi/sintesi, oppure hanno sostenuto che il mondo non è bianco e nero, vero e falso.) Suppongo che Marinoff abbia letto qualcosa di queste rivisitazioni, ma dubito che conosca i lavori di Hegel direttamente.

[6]  Secondo il mio punto di vista, l'assenza di Heidegger è due volte paradossale in questo caso. Innanzitutto, Heidegger può tranquillamente essere considerato un autorevole "esistenzialista". (L'alternativa sarebbe "ontologista", ma Marinoff non parla affatto di ontologia). In secondo luogo, mi piace ricordare che Heidegger è uno dei pochissimi pensatori del XX secolo che hanno affermato che è possibile considerare in qualche senso Nietzsche come un "esistenzialista". (Ma non credo che Marinoff conosca una tale specifica posizione).

[7] In Fides et ratio, Giovanni Paolo II scrive chiaramente: «Spetta ai cristiani di oggi, innanzitutto a quelli dell'India, il compito di estrarre da questo ricco patrimonio gli elementi compatibili con la loro fede così che ne derivi un arricchimento del pensiero cristiano. Per questa opera di discernimento, che trova la sua ispirazione nella dichiarazione conciliare Nostra aetate, essi terranno conto di un certo numero di criteri». [...] Quanto è qui detto per l'India vale anche per l'eredità delle grandi culture della Cina, del Giappone e degli altri Paesi dell'Asia, come pure delle ricchezze delle culture tradizionali dell'Africa, trasmesse soprattutto per via orale» (§ 72). E ancora: «Quando la Chiesa entra in contatto con grandi culture precedentemente non ancora raggiunte, non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito dall'inculturazione nel pensiero greco-latino. Rifiutare una simile eredità sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia» (ibidem).
Marinoff avrà dato uno sguardo a una recensione dell'enciclica apparsa su qualche giornale americano, su cui si diceva che il papa ha aperto alle culture altre da quella greco-latina; poi ne ha parlato come se l'avesse letta davvero. È vergognoso. Manco a dirsi, costitutivamente privo di intuizione e discernimento com'è, Marinoff non è in grado neanche di simularne la lettura. Avrebbe fatto meglio a tacere.

[8]  Per  tale ragione, ad esempio, non trovo affatto necessario il capitolo intitolato "Hit parade di filosofi" (pp. 367-392).
Tra l'altro, la "hit parade" è una "classifica", e invece Marinoff elenca i filosofi in "ordine alfabetico". Che strana "hit parade" è mai questa? Inoltre, cosa hanno in comune filosofi occidentali come Kant, Nietzsche, Gödel, Quine, ecc. con pensatori come Lao Tzu, Chuang Tzu o Confucio?! Chiaramente, tutti costoro hanno azionato i loro cervelli al fine di pensare; ma questa comune funzione fisiologica può bastare per farceli mettere insieme? Probabilmente Marinoff avrebbe dovuto giustificare meglio certe stravaganze.

[9]  Secondo il ragionamento di Marinoff, allora, pure la Mafia, che sicuramente procura spesso lavoro a giovani disoccupati, arruolandoli tra le sue fila, «aiuta la gente, e dunque è pragmaticamente valida»; per di più, essa piacerebbe con ciò anche ai «pragmatisti originari»!

[10]   E. M. Cioran, La tentazione di esistere (1956), trad. it. Adelphi, Milano 1984, pp. 12-13.

[11]   Ivi, p. 14.

[12]   E. Husserl, "La crisi dell'umanità europea e la filosofia" (1935), in La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. Il Saggiatore, Milano 1961, pp. 328-358: 342.

[13]   Ivi, p. 343.